Da questa sera la Provincia di Gorizia avrà il suo “Garante per i diritti delle persone private della libertà personale”. Si tratta di una figura già presente nelle altre province del Fvg e in numerose regioni italiane: un ruolo di controllo sul rispetto della dignità della persona negli ambienti di “restrizione”. Il “garante” non riceve alcun compenso per la propria opera, ma assume il significativo ruolo di portavoce dei reclusi: per quanto concerne la Provincia di Gorizia, di quelli “ospitati” nella casa circondariale di via Barzellini e nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Gradisca.
Sull'opportunità dell'iniziativa mi sembra non ci siano dubbi: i dubbi e le perplessità derivano semmai dalla constatazione che non esiste, da parte del Parlamento e della politica in generale – se escludiamo l'impegno e le battaglie di Pannella e dei Radicali sulla questione carceri – una reale attenzione ed una conseguente proposta sul tema della pena e della detenzione carceraria. Non mi pare ci siano idee o proposte alternative in tal senso, progetti di riforma del sistema detentivo a fine rieducativo, formativo e di reinserimento lavorativo e sociale: al di là di isolati esperimenti – per altro ben riusciti nell'intento, come quello del carcere di Padova, di cui ho letto qualche tempo fa – apprezzabili per lo sforzo di realizzare l'obiettivo della rieducazione attraverso un processo più formativo-lavorativo che punitivo, mi sembra che su questa materia manchi un disegno complessivo, una prospettiva più ampia e di lungo respiro, in grado di indicare le linee guida ed una normativa unica a livello nazionale. In mancanza di una seria riforma e senza una rielaborazione del concetto di "espiazione della colpa", il sistema detentivo così com'è, dove spesso la pena non è commisurata al reato commesso, rischia di restare una misura insufficiente e, soprattutto, inutile o addirittura dannosa ai fini della rieducazione/riabilitazione della persona del detenuto. Anna V.
Per un compito così delicato e determinante nela vita di tanti detenuti credo non sia sufficiente un'unica figura isolata, messa lì per un riconoscimento al merito; sarebbe necessario piuttosto il lavoro coordinato di più soggetti e figure istituzionali… Si vede che la dignità di chi sta in carcere non interessa granché nè ai politici nè all'opinione pubblica in generale. Colgo l'occasione per ricordare che, all'Ufficio Elettorale del Comune, è ancora possibile aderire alla raccolta di firme per le tre leggi di iniziativa popolare su Tortura, Carceri e droghe. Esse hanno l'obiettivo di ripristinare la legalità costituzionale all'interno delle carceri. Maggiori informazioni su http://www.3leggi.it
dc
Per restare in tema di diritti dei detenuti, vi segnalo sul Fatto Quotidiano di oggi un articolo dal titolo "L'infanzia negata è un cielo a sbarre", a firma di Cristina Scanu, tratto dal suo libro "Mamma è in prigione, indagine sulla maternità in carcere". Il libro-inchiesta affronta appunto il problema della vita in carcere dei bambini figli di detenute (una sessantina di bimbi di età inferiore o pari a tre anni), dei loro diritti negati, della tragedia di donne che, nel timore che il tribunale tolga loro i figli, spesso definitivamente, in mancanza di una famiglia su cui fare affidamento si rassegnano a tenerli con sé in cella, almeno fino al compimento dei tre anni di età. E' una condizione di grave disagio, fisico e psicologico, cui mamme e figli sono costretti, anche per mancanza di strutture adeguate e consone ai loro bisogni – il più delle volte, infatti, le donne sono detenute in sezioni di carceri maschili, pensate per maschi – e, allo stato attuale, il problema rimane irrisolto: una sollecitazione alla politica, alle istituzioni, affinché se ne occupino seriamente e con urgenza, in modo degno di un Paese civile! Anna V.
A Gorizia è tutto così: i geniali "costruttori" degli anni '70 sono stati e continuano ad essere incapaci di aiutare l'inserimento di nuove idee ed energie. Così nella politica, nella cultura, nel welfare… Paura di perdere prestigio o congenita difficoltà a lavorare "alla pari" con i più giovani?
ab