Boris Peric, in qualità di editore e Dario Stasi, come Direttore, hanno introdotto ieri sera al Forum un interessante incontro, nel corso del quale si è “festeggiato” il centesimo numero della rivista Isonzo-Soča. sono intervenuti anche Anna Di Gianantonio, Agostino Colla, Igor Komel e molti altri. Nevio Costanzo ha presentato un breve filmato, l’inizio di un’idea che dovrebbe essere sviluppata nei prossimi mesi…
Al di là della cronaca sono emerse alcune indicazioni importanti.
Il dialogo tra la “vecchia” e la “nova” Gorizia/Gorica era- secondo molti presenti – molto più sviluppato prima della cancellazione delle barriere di confine che adesso: secondo alcuni tale disaffezione ha accompagnato una crescente disillusione verificatasi dopo un evento atteso con grande intensità; secondo altri non si è compresa la portata storica dell’evento e non lo si è preparato adeguatamente. Qualcuno, più pragmaticamente, ha notato che l’immobilismo della classe politica goriziana (e goricana) ha portato l’intero territorio a una situazione di grave crisi, che Boris Peric ha sintetizzato efficacemente citando le parole proferite da Darko Bratina una ventina d’anni fa: “Gorizia non è più una città e non è ancora un paese…”
Come uscire da questa situazione? O meglio, è possibile uscire da questa situazione?
A queste domande sono state date due forme di risposta. La prima, più imprenditoriale, vede nel Gruppo Europeo di Collaborazione Transfrontaliera (Gect) una grande opportunità, uno strumento che non soltanto potrebbe favorire uno sviluppo del territorio, ma anche promuoverlo come organismo indipendente dalle scelte delle singole amministrazioni locali. La seconda, più relazionale, propone la ricerca di spazi e di tempi finalizzati a far crescere una comunicazione di base intorno al vecchio confine: l’obiettivo è quello di costruire relazioni significative di amicizia, solidarietà, condivisione dei problemi, anche attraverso semplici percorsi di conoscenza e stima reciproca. Forse le due vie non sono incompatibili, anzi l’una presuppone l’altra: la struttura senza le relazioni di base è destinata a rimanere un ingombrante “carrozzone”, le relazioni senza la struttura difficilmente possono generare durature prospettive culturali e politiche.
Accanto all’efficace ricostruzione della storia remota e vicina offerta da Dario Stasi con la proposta del “Museo diffuso del Novecento”, non è mancato l’invito a guardare con occhi attenti alla realtà giovanile – anche universitaria – ormai proiettata oltre i confini non da una nuova coscienza dei rapporti transfrontalieri, ma dall’accoglienza di una visione globalizzata di una società in rapida evoluzione. E non è mancato il pensiero al fatto che in questa veloce evoluzione anche le città del territorio goriziano si stanno trasformando sia a causa della crisi economica e dei nuovi stili di vita che grazie a una presenza sempre più evidente, discreta e costruttiva di migliaia di immigrati non ancora pienamente inseriti nei processi culturali della vita cittadina.
C’è ancora molto da dire, e soprattutto da trasformare le parole in progetti concreti: il Forum sempre più si propone come luogo di elaborazione e di edificazione di rapporti tra persone e realtà associative che vogliono costruire una Città internazionale, unita nelle sue interessanti differenze urbanistiche, sociali, politiche e culturali.
ab
Una piccola chiosa. Ribadisco che senza un cambio della classe dirigente della città è impossibile pensare a qualcosa di nuovo. Dal basso vengono idee, solecitazioni, ma se poi nessuno le raccoglie o ci costruisce intorno una cornica, rimangono un libro dei sogni. Comunque ho letto che il dott. Sgarlata adesso è presidente del Consorzio univarsitario, dopo essere stato presidente della Camera di commercio. Ecco l'esempio plastico di quello che vuol dire il sistema di potere che si perpetua, al di là di ogni risultato. La città è in agonia, questi continuano a governare. adg
naturalmente sollecitazioni e cornice.
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(seconda parte)
Ma siamo sicuri che sia sufficiente un cambio anagrafico per risolvere i problemi dell’Italia? Attualmente, molti degli esponenti di punta del Sessantotto rivestono ruoli di primo piano in settori quali la politica, il cinema, la cultura, l’università, gli enti pubblici: eppure la tanto decantata rivoluzione non è mai avvenuta, anzi l’Italia sta peggio di prima rispetto al loro avvento. Hanno agognato e lottato per il potere, convinti che questo permettesse loro di cambiare il sistema, e invece quest’ultimo li ha irretiti, cambiati, comprati e plasmati, peggiorando i difetti della generazione che li aveva preceduti. Più che un cambio di carte d’identità, quindi, sarebbe auspicabile un cambio estremo di mentalità e di competenze. Si pensi, ad esempio, al mondo dell’impresa e del lavoro. Secondo un’indagine di Astra Ricerche per Manager Italia, il 71% delle aziende italiane non ha politiche di gestione del passaggio generazionale; solo il 14% ne ha e il 15% pensa di introdurle. Una valida organizzazione del lavoro quindi permetterebbe a tutti, indipendentemente dall'età, di esprimersi al meglio (88%), la presunta minor produttività dei sessantenni è frutto di una concezione arcaica del lavoro (87%) e molti problemi sarebbero risolti da un sistema retributivo legato al merito e ai risultati raggiunti, piuttosto che all'età (79,1%). Invece, in un colpo solo vediamo morire aziende e perdere occasioni di nuova occupazione. Il Paese necessita di uno scossone, di uno choc che sia trasversale e che abbracci tutta la Penisola. La classe manageriale ha fallito ad ogni livello. Telecom, Parmalat, Alitalia, Cirio, Ilva, Olivetti, Monte dei Paschi di Siena (per elencare solo alcuni casi emblematici) sono le istantanee di un lento e inesorabile declino. Per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale la classe dirigente consegna ai propri figli un Paese più povero non solo economicamente, ma anche socialmente. C’è chi si arrovella perché si stanno esaurendo le risorse offerte dall’ambiente; personalmente, mi spaventerei molto di più perché si sta dilapidando un’importante eredità da passare ai nostri figli: la speranza e la fede nel futuro.
Ho letto e vi invio in due parti, le considerazioni fatte da un redattore online de "la Voce della Russia" che mi pare ben si riferiscano ai problemi che a Gorizia, ma anche nel Belpaese si tenta di affrontare la più parti:" Oggi si fa un gran parlare, in Italia, di ricambio generazionale. E in questi giorni non potrebbe che essere così, visto che Matteo Renzi, il “rottamatore di vecchi politici e di un’intera classe partitica più che politica”, si sta affermando quale nuovo segretario del Partito Democratico. Eppure sono molti i dubbi che nascono al riguardo. Siamo certi che basti un individuo per risolvere l’atavico problema italiano della gerontocrazia? Ci sono tanti dubbi anche perché Renzi è stato messo da mesi a rosolare a fuoco lento dai suoi stessi compagni di partito e pare aver accumulato più rabbia e frustrazione che non argomenti nuovi per un Paese vecchio. In bocca all’attuale sindaco di Firenze, il ricambio generazionale sembra esser diventato uno slogan da ripetersi come un mantra, quasi una preghiera scaramantica, invece di diventare il punto di partenza per una visione del futuro. E ciò ha prodotto, come principale effetto, quello di svuotare di contenuti l’espressione stessa. Più che un “yes we can” potremmo parlare di un “yes we must”, altrimenti i voti non si acchiappano. Le rivoluzioni o si fanno subito oppure vengono fagocitate, assimilate e poi sfruttate da quel sistema che volevano sconfiggere. Renzi dovrebbe sapere bene che non si può essere al tempo stesso parte del sistema e mutarne drasticamente regole ed establishment. La sua è una scommessa persa. E proprio per questo motivo l’avvento di Renzi difficilmente produrrà effetti epocali nel Belpaese. Il cambio della classe dirigente può nascere solo dal basso, dalla società civile e dalle sue articolazioni. La rivoluzione di un Paese asfittico deve passare obbligatoriamente attraverso un cambio di passo che provenga dai singoli universi che compongono la comunità italiana: cioè dal mondo imprenditoriale, da quello sindacale, scolastico, universitario, corporativistico. Perché ognuno di questi mondi parla con i propri linguaggi e secondo i propri interessi: questo multilinguismo non può essere parlato da una sola persona. In politica, oggi, da più parti si assiste a una resa dei conti. Si guardi all’aspro scontro di Renzi contro Massimo D’Alema e l’addio melodrammatico nel campo avverso di Alfano e Berlusconi. Anonymus de Anonymis. (parte Prima), poi segue parte seconda.
Se Renzi è il nuovo che avanza siamo messi bene. Intanto come si fa a fare il Sindaco se si passa tutto il tempo in televisione… e già questo dovrebbe metterci in allarme… e poi non ho capito una cosa: solo perché uno non è più giovane, anche se il cervello gli funziona benissimo, solo per questioni anagrafiche insomma, deve farsi da parte e non dare più alcun contributo alla politica! Ma che ragionamento è?
Ed in ogni caso, le rivoluzioni non si annunciano: si fanno e basta
Senza l'ambiente di quale futuro stiamo parlando? Non siamo mica sull'astronave di Star Trek.
Del futuro è bene che ne parlino i giovani, ma non solo, ma pure quanti non si ritengano dei pentiti, e che sinora non abbiano mai rinunciato alle loroe idee, quelle forgiate nelle battaglie per il lavoro, la pace e l'uguaglianza, e per le quali è un dovere più che un diritto spendersi democraticamente.
Lasciamo pure a Renzi i suoi consensi con i tesserati raccolti tout de suite all'ultima ora prima che si votasse, con le visitazioni, prima con l'avverso capo di Arcore, e quindi con la benedizione del suo contrario De Benedetti. Purtroppo nel Belpaese cambia poco o nulla con questi novelli Masanielli. Non di un capopopolo abbiamo necessità, nè di un condottiero avezzo ad un evento diverso al giorno pur di apparire sin sulle copertine dell'editoria mondadorina, ma di nuovi consigli, intesi non come suggerimenti, ma come organizzazione di ceti produttivi, popolari, democratici, che dicano la loro in modo impegnativo agli eletti nei territori, Serrachiani compresa.
Mandi da Anonymus de Anonymis.