E’ molto forte l’impressione suscitata dalla morte di Mario Lo Re.
Al di là della tristezza per la perdita di un amico e del tanto affetto che è stato dimostrato ai suoi cari, non si possono tacere alcuni importanti interrogativi.
Quella del suicidio per motivi economici sta assumendo le proporzioni di una vera e propria epidemia: i motivi che portano alla sopraffazione dell’istinto di sopravvivenza sono tanti e nessuno può comprendere fino in fondo quello che si agita nel cuore di un uomo. Tuttavia alcune costanti, si potrebbe quasi dire statistiche, possono essere riscontrate, almeno per ciò che concerne il fenomeno nella sua conformazione attuale: la pressione fiscale che grava soprattutto sui “piccoli”, i debiti accumulati a causa di tentativi non riusciti o di insolvenze altrui, le conseguenze psicologiche e relazionali derivanti dalla percezione dei propri fallimenti, il senso di impotenza di fronte all’accumularsi dei problemi…
Di fronte a questa realtà, chi e che cosa si potrebbe fare?
E’ evidente che la parola “crisi” serpeggia dietro a tutti i tristi eventi, ma essa non è un fenomeno ineluttabile: dovrebbe essere al centro di ogni dibattito politico e culturale, invece è relegata nei ritagli seminascosti tra le baruffe senatoriali riguardanti una Riforma proposta da un Governo che nessun elettore ha votato e da parlamentari scelti da pochi capipartito.
Le ricadute a livello locale sono evidenti. Del problema dell’assistenza a chi fa più fatica se ne fanno carico la Chiesa cattolica (assai ben foraggiata dall’8 per mille oltre che dagli infiniti contributi nazionali e regionali che le tolgono molte preoccupazioni relative alla gestione delle proprie strutture) e – in misura minore – il privato sociale. In altre parole, mentre si discutono i capisaldi del cambiamento della Costituzione e i Comuni discutono i criteri di assegnazione dei finanziamenti pubblici superstiti, la risposta ai problemi economici che strangolano le persone è affidata quasi esclusivamente all’iniziativa di chi ha i mezzi e la buona volontà.
Niente da dire sul principio di sussidiarietà: ma attualmente è il “pubblico” a integrare l’iniziativa privata e non viceversa! Quindi, Comune di Gorizia: oltre a difendere a oltranza dighe che vengono regolarmente travolte dalle decisioni regionali, c’è ancora spazio e tempo per prevedere cospicui investimenti per le politiche del lavoro e del welfare?
Lasciamoci tutti interpellare – concretamente! – dal gesto di Mario…
ab
gira su internet il fatto che "Mario fosse troppo sensibile". Ora strumentalizzare un fatto simile è da delinquenti, ma farlo passare come scelta individuale lo è altrettanto. Perchè se c'è un dubbio, anche solo uno, che uno dei problemi fosse la mancanza di denaro, allora la chiesa, la politica e le persone per bene non possono far finta di niente. Qui siamo in una crisi che sta massacrando giovani, donne, artigiani e non siamo in grado, insieme, di fare nulla per aiutare quelli che attraversano momenti di difficoltà?