Nel bel mezzo del Sinodo sulla famiglia e mentre il Governo è impegnato in assai delicate trattative riguardanti il futuro del lavoro e delle istituzioni, il Ministro dell’Interno Alfano getta benzina sul fuoco dei “diritti civili”, imponendo l’annullamento delle “trascrizioni” nell’anagrafe dei Comuni dei matrimoni tra omosessuali celebrati all’estero.
In questo modo il dibattito sull’argomento torna in primo piano, evidenziando in ogni caso un imbarazzante vuoto legislativo: da quanti anni si discute della necessità di una normativa che garantisca alle coppie omosessuali il riconoscimento della loro unione?
In realtà il Parlamento non è mai andato oltre alla presentazione di disegni di legge, mai giunti al termine dell'”iter” a causa dello scontro frontale fra le diverse concezioni del mondo e della vita, delle quali i senatori e i deputati si sentono – in questo caso e non in molti altri! – rappresentanti e difensori.
L’equivoco, non nuovo peraltro in Italia, deriva da una particolare concezione del rapporto fra fede e politica che ha caratterizzato il Paese dal dopoguerra ad oggi: l’arte politica, in un ambito democratico, non consiste nell’affermazione assoluta dei propri principi, ma nella faticosa e complessa ricerca, più possibile condivisa, della tutela del bene e dei beni comuni. Il riconoscimento legislativo del matrimonio omosessuale non dovrebbe essere considerato come la contestazione di una determinata visione del mondo (ammesso e non concesso che dal punto di vista teologico sia così semplice individuare delle ragioni “contro”, che non siano desunte da documenti estrapolati da contesti storici e da generi letterari che devono essere invece studiati e approfonditi. Non a caso i documenti ufficiali delle diverse confessioni cristiane, procedendo dall’esame degli stessi testi, propongono spesso soluzioni radicalmente opposte). E’ da considerare invece semplicemente la risposta a un interrogativo che i cittadini pongono all’organo legislativo dello Stato.
Ognuno poi, da questo punto di vista, può offrire il proprio contributo propositivo: ma tanto prima il dibattito e le scelte conseguenti saranno riportati nel competente ambito – quello appunto del diritto e non della contrapposizione ideologica o religiosa – tanto più sarà possibile affrontarne, con serenità, senza pregiudizi e negli specifici ambiti, i risvolti etici.
Inoltre, la risoluzione della questione eviterà di trasformare l’importante tema dei diritti civili in un’occasione per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica dall’operato di un Governo che propone scelte economiche e strutturali poco gradite e poco condivise.
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I primi a fare la battaglia ideologica sono proprio le lobby gay ed i loro sostenitori. Se così non fosse, infatti, chiederebbero una mera modifca di taluni articoli del codice civile, quali quelli sull'eredità. Invece sono proprio loro che vogliono – ideologicamente – percorrere la strada del "matrimonio". Che, per inciso, ha coinvolto un numero statisticamente irrilevante di persone nei paesi in cui è consentito, per la nota promiscuità e tendenza all'instabilità delle persone omosessuali.
Ma anche volendola affrontare dal punto di vista del "diritto", posto che il matrimonio sia un diritto e non un dovere, nei confronti della sposa, dei figli e della società (so che il concetto di DOVERE ormai è tramontato in questa folle società), perchè non parliamo del DIRITTO di ogni bambino di avere una mamma ed un papà? Perchè è evidente che, una volta riconosciuto il matrimonio tra gay, la adozione o ancor peggio la fecondazione artificiale sono solo un ovvio complemento.
E invece no, i DIRITTI dei bambini non esistono. Sono giocattoli, capricci, cagnolini da usare ed esibire. Siete corresponsabili di questo. Non capisco se sia ingenuità o malafede.