Si è svolto lo scorso giovedì ad Aurisina/Nabrežina un interessante dibattito organizzato dai circoli culturali sloveni intorno al centenario della prima guerra mondiale.
Incalzati da tre interrogativi esposti dal direttore del Kulturni dom di Gorizia Igor Komel, lo storico e scrittore sloveno di Nova Gorica Vasja Klavora e il presidente del Forum per Gorizia Andrea Bellavite hanno presentato con chiarezza il loro punto di vista, riscontrando pieno accordo sul significato della commemorazione.
In particolare si è rilevato come la memoria del conflitto sia trattata in modi alquanto diversi dai media, in Italia e in Slovenia, con un’evidente difficoltà a incontrarsi per un indispensabile costruttivo confronto. La guerra non è stata “grande” in nulla, un inutile immenso massacro, come evidenziato dai due relatori che hanno raccontato anche le esperienze vissute dai loro avi sui fronti allora contrapposti. Ed è stato sottolineato il ruolo della cultura e delle religioni, del tutto “nuovo” in un contesto nel quale persone che si riconoscevano negli stessi valori si sono combattute le une contro le altre fino all’ultimo respiro.
Sloveni e italiani – hanno concordato Klavora e Bellavite – hanno bisogno di parlarsi per poter trasformare il ricordo di quella fatidica “vittoria” del 1918 in un’occasione di amicizia e dialogo fra i popoli e non – come purtroppo è accaduto allora – nell’inizio della stagione degli assolutismi e della cancellazione delle identità di ciascuno.
Si è inoltre affermato pieno sostegno alla proposta dell’assessore Federico Portelli di cambiare alcuni nomi di vie e di piazze della città di Gorizia, dedicate a generali responsabili di carneficine o a una “vittoria” che per quasi tutti i cittadini non è stata altro che l’inizio di un declino passato attraverso la dittatura fascista e culminato nella seconda tragica guerra mondiale.
Come rilevato nel dibattito da Marino Marsič, presidente dell’skgz di Trieste, la tavola rotonda è stata occasione per un riuscito esperimento di “bilinguismo passivo”: ognuno ha parlato nella propria lingua e ha compreso quella dell’altro, senza la necessità di traduzioni o ulteriori spiegazioni.
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