Oggi alle 11 è prevista l’inaugurazione della mostra sul Novecento goriziano, nella prestigiosa sede del Senato della Repubblica a Roma. Si tratta di un evento straordinario che porta le vicende della città nel cuore della Capitale. Meritano un plauso speciale Dario Stasi, direttore di Isonzo Soča e instancabile anima dell’iniziativa, la senatrice Laura Fasiolo, alla cui mediazione si deve la realizzazione dell’obiettivo e i collaboratori del settore culturale del Comune, partner amministrativo della mostra.
“Il secolo breve” illustra con immagini e testi la storia goriziana, con tutti i cambiamenti che l’hanno drammaticamente caratterizzata, dall’inizio del Novecento a oggi. Si tratta di un periodo talmente ampio e complesso da rendere impossibile la presentazione completa degli avvenimenti, delle scelte e dei loro protagonisti. È quindi da considerare una semplice tappa, non certo un punto d’arrivo nell’indispensabile percorso di riflessione al quale Gorizia e il suo territorio sono da lungo tempo chiamati.
La grande novità sta nel metodo. Dopo il lungo periodo delle memorie contrapposte che ha paralizzato la cultura, la politica e la vita sociale nel corso di diversi decenni, ha preso piede, soprattutto nel mondo cattolico e in particolare su proposta dell’associazione Concordia et Pax, l’esigenza di una “memoria condivisa” fondata su un atto di riconciliazione tra le parti offese.Tale proposta ha avuto il merito di creare importanti momenti di incontro tra sloveni e italiani accomunati dal desiderio di superare le tensioni del passato, ma ha corso il duplice rischio di non coinvolgere in alcun modo chi non ritiene possibile il perdono e di essere (ingiustamente) rappresentata come una sorta di par condicio degli orrori.
La mostra sul “secolo lungo” inaugura un nuovo modo di “leggere” la storia, potrebbe essere definito quello delle memorie contestuali. Non viene richiesta una riconciliazione che è troppo legata a un atto di coscienza individuale per diventare fondamento di un’azione politica e culturale; nessuno deve rinunciare al proprio punto di vista o ridurne la forza in vista della creazione di un orizzonte comune. Si tratta di consentire a ciascuno di sottolineare i fatti e la loro sempre parziale interpretazione, a condizione che sia garantita la rigorosità del metodo scientifico e una volontà non denigratoria nei confronti dell’altro.
La conoscenza delle “ragioni” dell’altro non implica la loro condivisione, ma può incrementare il rispetto e porre le basi di una collaborazione futura, per il bene comune e i beni comuni della città e dell’intero suo territorio.
Che sia questa la via da seguire?
ab
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