Si è parlato molto dei “contenitori” – sì o no al diritto di manifestare da parte di tutti, ci saranno contestazioni e violenze oppure no, da che parte andranno i manifestanti per non incontrarsi o scontrarsi, l’assessore sul palco di Casapound e via dicendo…
Si è parlato poco dei “contenuti”, di ciò che volevano comunicare i due cortei che sabato scorso hanno attraversato Gorizia.
Ebbene, quello di Casapound si è configurato come un rito finalizzato a celebrare il “mito” della prima guerra mondiale, dove le parole e soprattutto i segni hanno sottolineato il “sacrificio” dei caduti italiani come momento “fondativo” dell’identità culturale dell’Italia attuale: il silenzio assordante dei 1500 intervenuti, le loro bandiere ordinate mosse dal vento, l’ordine quasi militare nella marcia e nella disposizione al parco, i fiori collocati davanti al lapidario, la terra delle regioni d’Italia – in particolare quella del Colle Palatino – a mescolarsi solennemente con quella goriziana, la musica vagamente funebre ad accompagnare discretamente il cammino… Tutto ciò fa pensare a un rito collettivo finalizzato a costruire una nuova Italia, sotto il segno dell’autarchismo e del corporativismo mussoliniani: una nuova Roma capace di ripetere i fasti dell’antico Impero, la diffusione nel mondo degli “autentici” valori che l’Italia ha donato al mondo e poi dimenticato, la liberazione dalla costrizione del capitalismo mondiale ed europeo in nome di una ritrovata capacità di fare da soli, l’innalzamento dei principi della Tradizione e del rispetto delle leggi della Natura contro chi – quei “maledetti che odiano l’Italia”!, tuona De Stefano nel suo breve discorso alla Rimembranza – è divenuto schiavo del relativismo, del pluri-culturalismo e delle effimere disordinate suggestioni del comunismo e della post-modernità. L’entusiasmo e la tensione scaricati a tutta voce negli inni finali hanno dimostrato un’assoluta determinazione a diffondere il messaggio di una nuova stagione, quella del “fascismo del Terzo millennio”. Per il momento in accordo ideale con gli accenti razzistici e in più strategico accordo elettorale con le strutture partitiche della Lega, giungendo a coniugare il patriottismo unitario, incentrato su Roma Capitale dell’Impero, con i tradizionali slogan anti-unitari e anti-romani della Lega Nord… Poi, chissà?
Il corteo dell’Osservatorio regionale contro il fascismo è stato l’esatto contrario: molto partecipato, una festa di canti, musiche di ogni tipo e di danze di strada. Non ha dato l’impressione di un rito, non c’erano sacrifici da ricordare o gesti impressionanti da sottolineare; nessun “mito” fondatore da riesumare o da ricostruire. Si è vista una grande partecipazione multiculturale e multilinguistica, con manifestanti dalla Sloveni, dall’Italia, dall’Austria, nonché di immigrati da tutte le parti del mondo. Grande è stata la diversità di approcci, motivazioni e argomentazioni, bandiere di tutti i colori possibili – a volte salutate da tutti con favore, altre guardate con qualche diffidenza -, croci con i nomi dei morti in guerra, con un’organizzazione assai “leggera”, a favorire un clima di allegra e variopinta confusione. A unire tutti sono state alcune convinzioni: l’affermazione della guerra come male assoluto e il rifiuto di celebrare come un “valore” l’inserimento dell’Italia nell'”inutile strage; l’affermazione di un altro modo di “essere a Gorizia” rispetto a quello di Casapound, attraverso la memoria di tutti i caduti – civili e soldati su ogni fronte e di ogni Nazione – come invito a costruire un Europa e un mondo più uniti e più giusti; la centralità dell’accoglienza e della libera circolazione delle persone; la scelta rigorosamente antifascista, con delicatezza nei confronti di una città – Gorizia – e di un popolo – in particolare quello sloveno – che hanno sofferto enormemente durante e dopo il conflitto, con il fascismo e le altre sue conseguenze; il rifiuto dei riti collettivi identitari che hanno caratterizzato altri tragici momenti della storia del Novecento, in nome dell’affermazione dei diritti civili per tutti, delle ragioni della democrazia e della libertà.
Ecco, in estrema sintesi, alcuni contenuti emersi nel più “caldo” pomeriggio goriziano da parecchi anni in qua: con posizioni così diverse può anche essere saggio chi si eleva al di sopra della bagarre affermando che “tutti hanno il diritto di esprimere le proprie idee” o che “in fondo la democrazia consiste nel dare la parola a tutti”… Può essere saggio, ma rischia di chiamarsi fuori dalla responsabilità delle decisioni, anche in vista di prossimi tempi, delicati e difficili per tutti; forse più costruttivo è chi – rispettando le regole dettate dalle leggi e da chi ha il compito di interpretarle ed applicarle – sceglie di stare da una parte, esprimendo il proprio pensiero, cercando di farlo valere come quello “della parte giusta”. E’ il confronto tra “parti giuste” che costruisce la democrazia, minacciata da chi si chiude a qualsiasi possibilità di confronto in nome di ideologie sepolte nel passato, ma anche da chi – in nome dell’equidistanza – preferisce tacere o seminare “saggi” inviti al silenzio e alla moderazione.
ab
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