Per questa mattina ecco un racconto di Vito Dalò, una storia bella, nel contempo tragica e poetica, ma anche interessante perché ci ricorda un nome sentito molte volte, la cui origine è per quasi tutti gli “occidentali” sconosciuta…
In Perù ci sono stato una ventina d’anni fa. E’ un paese meraviglioso per archeologia, per paesaggi indimenticabili, per etnie, per cultura, per storia. Mi sono ripromesso di tornarci ma finora non ci sono riuscito. Oggi voglio ricordare una data che nella memoria e nell’anima dei discendenti degli antichi INCAS resta indelebile. Chi ha la possibilità di girare per i villaggi nella valle dell’Urubamba o nei villaggi intorno a Cusco o ovunque sulle Ande, troverà scritte in calce bianca sui muri delle povere case dei nativi. La scritta è QUE VIVE TUPAC AMARU. Oppure semplicemente TUPAC AMARU. Con questo nome si sono chiamati e si chiamano in tanti sulle Ande peruviane, compreso cantanti, artisti di strada, politici. Ma se parlate con i nativi, tutti ricordano il primo della loro storia e tutti a lui si ispirano. Duecentotrentaquattro anni fa Tupac Amaru fu squartato a colpi d’ascia nel bel mezzo di quella meravigliosa piazza della vecchia capitale incaica. Ora si chiama Plaza Las Armas quel immenso spazio dove i nativi al tempo degli Incas ballavano le loro danze con costumi coloratissimi. Ad uccidere questo capo degli incas che i clandestini spagnoli cercarono per molto tempo furono proprio loro, gli europei che si impossessarono di tutto quello che questo popolo possedeva, dagli ori alla terra, dalla cultura alla religione alla vita. Mentre giravo per la piazza, mi si avvicinò un bambino scalzo con in mano uno straccio , una spazzola e un cassetto con creme da scarpe chiedendomi di pulire i miei sandali. Mentre lucidava i miei sandali cercai di parlare con lui. Ricordando la scritta sui muri gli chiesi se conosceva Tupac Amaru. Il piccolo sciuscià mi rispose sottovoce, quasi fosse un segreto e senza alzare la testa dal suo lavoro, di si, lo conosceva. Mormorò: “E’ sempre qui. E’ nel vento”
Vito Dalò
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