Ai lettori, ecco un bel racconto di viaggio del sempre interessante Vito Dalò.
Arrivai a Tambogrande il 23 giugno del 2002 e mi trovai immerso un una grande festa popolare. Non sapevo che santo festeggiassero ma la festa era coloratissima, allegra, affettiva e coinvolgente. Molta emozione sui visi della popolazione. Chiesi informazioni sulla festa e mi spiegarono che era una reazione popolare alla vittoria di un referendum contro la volontà del governo. Il popolo dormiva sulla ricchezza e non lo sapeva, dissero i governanti. C’era oro sotto le loro case e i loro letti, e non lo sapevano. La notizia giunse insieme all’ordine di sgombero dalle loro proprietà. Il governo peruviano aveva venduto l’intero villaggio all’impresa Manhattan Minerals Corporation. “Adesso diventerete tutti ricchi”, gli dissero per convincerli a lasciare la loro terra. Nessuno obbedì. Qui siamo nati noi, i nostri figli, i nostri genitori, i nostri nonni e tutti i nostri avi e qui moriremo, disse il popolo. Dopo decenni di lotte, di violenze, di assassini dei capopopolo, finalmente il governo decise di accordare il referendum. E lì giunsi il giorno dopo. Allegria e pianto si mischiavano come acqua e vino. E suoni e canti e balli contagiosi che travolsero anche me. Gli abitanti di Tambogrande decisero di continuare a vivere di manghi, di patate, di limoni e di altri frutti della terra faticosamente strappati al deserto. Decisero di vivere circondati dagli alberi di carrubi che esistevano da sempre. Loro la storia la conoscevano bene, sapevano che l’oro maledice i luoghi dove viene trovato. Sapevano che le colline sarebbero saltate con la dinamite, che i fiumi sarebbero stati avvelenati e che il cianuro avrebbe ucciso tutti i gli animali che si abbeverano alle acque e con loro i residenti. Sapevano anche che l’oro avrebbe fatto impazzire la gente e che la fame viene mangiando. E decisero. Solo l’1% votò per l’oro. Tutti gli altri per la natura e per la storia che loro conoscevano bene. Su quella stessa terra nel 1533 il conquistatore invasore Francisco Pizarro ordinò di strangolare l’ INCA, il Re del Perù, Atahualpa, nonostante il popolo avesse consegnato tutto l’oro del riscatto che il migrante clandestino spagnolo pretese. La festa continuò tutta la notte e io con loro. Il giorno dopo, assonato e felice, ripartii per altri luoghi, portando con me una emozione indimenticabile.
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