La vicenda del parroco di Staranzano e dell’unione civile di due uomini, uno dei quali capo scout, è significativa ed emblematica del momento di confusione che la Chiesa cattolica sta attraversando.
Per cominciare con chiarezza, a mio parere il matrimonio fra persone omosessuali dovrebbe essere inserito in quanto tale nella legislazione civile, ma anche la Chiesa cattolica potrebbe riconoscerne la sacramentalità in quanto manifestazione dell’Amore di Dio. In altre parole, anche o forse proprio perché realizzato davanti all’autorità che rappresenta l’intero territorio, quel rito – per chi lo riconosce come tale – è stato a tutti gli effetti la celebrazione di un sacramento, ovvero la dichiarazione pubblica di un’esperienza d’amore davanti a una comunità riunita.
I tre punti di vista espressi nel caso rimbalzato sulle pagine di tutti i giornali nazionali sono fondamentalmente quelli che si stanno scontrando da anni nella base cattolica.
Il parroco sostanzialmente ribadisce la posizione filosofica e teologica di Josef Ratzinger e della tradizione cattolica del secondo millennio: Aristotele da una parte e Tommaso d’Aquino dall’altra affermano l’esistenza di “una” Verità, sulla base della quale è possibile definire dei principi logici, etici ed estetici filosoficamente e politicamente non negoziabili, in quanto fondati sull’autorità assoluta del divino Garante. Il matrimonio, per diritto naturale e divino, è tra un uomo e una donna, di conseguenza altri comportamenti sono eticamente riprovevoli.
Un altro prete, presente alla celebrazione, ha sintetizzato con le sue parole una parte della posizione di Jorge Bergoglio, espressa chiaramente nella prima intervista a Scalfari e mai del tutto ricusata: non esiste una Verità assoluta, se non quella della Relazione. In una visione filosoficamente postmoderna e politicamente democratica, si afferma che solo accogliendo senza pregiudizi la relatività (“chi sono io per giudicare?”) è possibile scoprire, volta per volta, una ragionevole certezza in grado di consentire una comune costruzione della convivenza. Il principio è alla base della negazione dei principi non negoziabili e del rispetto di ogni forma di scelta non arrecante danno ad altre persone, ma anche di un dialogo interreligioso ed ecumenico nel quale ogni soggetto è sullo stesso piano degli altri, come ribadito dall’evidente antipatia dell’attuale Vescovo di Roma per la parola “proselitismo”.
La terza via, incarnata nel caso specifico dall’arcivescovo di Gorizia e sviluppata soprattutto nella Conferenza Episcopale Italiana, è quella di una prudenza confinante con il cerchiobottismo, che non distribuendo torti o ragioni fondamentalmente lascia il dibattito esattamente al punto di partenza. Anche il papa a volte sembra avvicinarsi a questa forma di dire e non dire, di affermare una cosa e il suo contrario (il suo quanto meno sorprendente giudizio sul gender come “colonizzazione ideologica” dei bambini e dei giovani, sulla scia di ciò che è stato fatto con “i balilla e la gioventù hitleriana” è stato quasi censurato da una stampa ordinariamente osannante, forse perché del tutto diverso rispetto ad altre sue altrettanto sorprendenti affermazioni di segno opposto).
E allora? Probabilmente l’unica possibile via di uscita è la ricerca di punti fermi, sia pur non assoluti o irriformabili, nel tempo della democrazia e del relativismo. Ciò implica la necessità di tradurre in norma – non definitiva ma valida fino alla sua sostituzione – il gesto o la provocazione dialettica. Rimanendo nell’ambito dell’esempio citato, si può dare ragione al parroco e ribadire la contrarietà della Chiesa alle unioni civili oppure si può dare ragione agli sposi e decidere di conseguenza – come appunto ritengo si debba urgentemente fare – la liceità anche del matrimonio religioso fra persone credenti omosessuali.
Ciò che invece genera confusione è l’ambiguità di posizioni che non riescono a superare l’enunciazione di principio e si arrestano di fronte all’indispensabile necessità della decisione pratica.
Andrea Bellavite
Se si andasse davvero all'essenza delle cose si capirebbe che ciò che conta è uno e solo uno, per i credenti come per gli atei.
Peccato che pochi siano in grado di capirlo e che a questi pochi faccia comodo che gli altri non lo capiscano.