Mi è capitato qualche volta di vedere il programma di Rai Tre, che ha per titolo “I dieci comandamenti”.
Non so quale sia il motivo della scelta di questo titolo. Si potrebbero avanzare varie ipotesi, anche molto suggestive, ma non è questo il punto.
Quello su cui volevo, invece, richiamare l’attenzione è l’originalità di questo programma, che mette al centro persone, storie, situazioni considerate dai più ai margini della società e, per questa ragione, guardate con sufficienza o del tutto ignorate.
Con grande garbo e sensibilità il giornalista che lo conduce, Domenico Iannacone, riesce a portare alla luce le storie dei protagonisti senza mai togliere loro la scena ma, al contrario, aiutandoli ad esprimere sentimenti e sensazioni personali, a volte, anche intimi.
Emerge, così, un’umanità in alcuni casi dolente, in altri serena, nonostante le difficoltà, sempre “altra” rispetto al comune sentire.
Incontriamo allora l’artista di strada, l’immigrato, la prostituta, l’eremita, persone le più disparate con, forse, soltanto una cosa in comune: una diversa prospettiva da cui guardare la vita.
Non so se qualcuno ricorda la scena del film “L’attimo fuggente” in cui il professor Keating fa salire gli allievi sopra i banchi per consentire loro di avere, appunto, una diversa visione della realtà.
Ecco, il punto è tutto qui: un programma che non vuol dare risposte ma, “soltanto”, far pensare.
Sì, perché, riconosciamolo, il grande assente della vita contemporanea è proprio lui, il pensiero.
“Consumiamo” continuamente relazioni ed esperienze, che scorrono via sopra di noi, senza lasciarcene in alcun modo toccare o, peggio, modificare.
Facciamo nostri, supinamente, abitudini di vita, stili di comportamento, modi di dire senza porci nemmeno il problema se siano corretti o, per lo meno, adatti alle nostre esigenze.
Riempiamo le giornate dei nostri figli con una serie interminabile di attività e di impegni senza lasciar loro il tempo, indispensabile, per giocare o per leggere un libro.
Chatwin racconta che uno schiavista era riuscito a convincere i suoi schiavi ad accelerare l’andatura in cambio di denaro ma che, in prossimità della meta, gli schiavi si erano fermati rifiutandosi di riprendere il cammino. Interrogati, avevano risposto: “Vogliamo dare il tempo alle nostre anime di raggiungerci”.
Forse, dovremmo fare altrettanto anche noi, fermarci per consentire alla nostra anima di raggiungerci, ammesso che ne abbiamo ancora una. so.sa.
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