Il fiume può essere confine. Il fiume può essere contatto. Il fiume può essere anche storia. Il racconto dei popoli che hanno abitato sulle sue sponde e che per vari motivi sono entrati in contatto o hanno viceversa tentato di preservare le loro tipicità.
Il sottotesto di “Danubio Umbratilis” è quindi estremamente attuale: sta poi al visitatore trarre le conclusioni che preferisce. Se cioè apprezzare la separazione netta fra civiltà e barbarie proposta dall’allestimento della mostra che fino al 15 ottobre è ospitata a Palazzo Attems o esprimere la propria perplessità per il mancato confronto, in un’unica stanza (a parte l’atrio) fra le grandi carte di Gian Carlo Venuto e gli sgargianti quadretti di Sergio Pausig.
Ispirata all’omonima raccolta di racconti di Claudio Magris, l’esposizione ideata dall’Erpac propone un confronto fra la pacatezza e la razionalità della civiltà latina, rappresentata nelle carte intelate realizzate a tecnica mista da Venuto, con i riferimenti tratti dall’art deco, dal fauvismo e dall’arte giapponese di Pausig, che nelle sue lussureggianti composizioni vegetali propone un vitalismo allusivo alla “barbarie”.
Citazioni dagli affreschi pompeiani, dalle pitture catacombali e un recupero raffinato delle sinopie anche nel pannello dedicato ai migranti (volti inseriti in quadrati dove si riconoscono i lineamenti di filosofi e personaggi dell’antichità classica) lasciano così spazio al reiterarsi dell’albero della vita di Pausig, talmente rigoglioso da trascendere i bordi del dipinto.
Unica pecca in una mostra da visitare: le didascalie, che il pubblico si affanna a cercare e trova poi al livello del battiscopa, troppo in basso per leggere titoli e tecniche delle opere esposte. Eliana Mogorovich
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