Storie di ordinaria disperazione: questo potrebbe essere il sottotitolo del libro “Lungo la rotta balcanica. Viaggio nella storia dell’umanità del nostro tempo”, presentato ieri alla Casa del Popolo a Gorizia, grazie all’iniziativa dell’Associazione Insieme con Voi e la Tenda per la Pace e i Diritti.
Il libro racconta il viaggio dei due autori, Anna Clementi e Diego Saccorra, quasi tutto su mezzi pubblici, lungo la rotta balcanica che dal 2015 rappresenta la porta d’ingresso all’Europa.
Attraverso di essa sono transitate oltre un milione di persone, donne, uomini, bambini, ognuno con la propria storia personale ma tutti mossi dal desiderio di lasciarsi alle spalle la guerra, la carestia, la povertà verso il sogno di un futuro migliore.
Sconvolgono l’orizzonte culturale e sociale delle collettività con cui vengono a confronto, e incontrano la carenza di normative chiare e praticabili, che regolino l’accoglienza e prevedano itinerari di integrazione a breve e a lungo termine, con attenzione ai diritti e ai doveri di tutti.
Sì, perché qualsiasi sia il paese di transito, vi trovano sempre ostilità e precarietà. Fame, freddo, stanchezza sono tremendi, ma forse è ancor più tremendo non sapere se e quando avranno fine.
Perché tutto dipende dalla convenienza politica dei governi, dalla discrezionalità del militare di turno, dalla fortuna di finire nelle mani di un trafficante di esseri umani che offre condizioni “migliori” di un altro.
Il 2015, dunque, è stato l’anno della rotta balcanica, una via alternativa alla Libia in subbuglio dove troppi migranti subiscono mesi di torture e incarcerazioni prima di potersi mettere in mare. Questa nuova rotta ha fatto saltare definitivamente Dublino.
Dal campo profughi di Idomeni in Grecia, a quelli di Gevgelija e Tabanovce in Macedonia (quest’ultimo decisamente peggiore del primo, ma comunque preferito in quanto più a Nord e quindi più vicino alla meta), a Belgrado (qui, di fatto, confluiscono due rotte, quella dalla Macedonia e quella dalla Bulgaria che poi si riuniscono a Sid, cittadina al confine croato), all’Ungheria (oppure Croazia e Slovenia da quando il governo ungherese ha deciso di chiudere il confine con misure molto rigide come l’installazione di filo spinato, posizionamento dell’esercito lungo il confine, arresto per chi entrava illegalmente nel paese), all’Austria, per poi arrivare infine nell’Europa “che conta”, quella che loro vedono come un Eldorado.
Interessante il racconto degli autori che ha messo in luce l’ottusità dei provvedimenti presi dalle autorità nazionali, nella migliore delle ipotesi incapaci di gestire il fenomeno, nella peggiore inclini a speculare sulla tragedia umana (emblematico il caso macedone dell’ordinanza contro i tassisti che trasportavano i migranti da un luogo all’altro, punibili con la revoca della licenza e del simultaneo innalzamento dei prezzi dei treni deputati al medesimo scopo. Paese che vai, ordinanze che trovi…).
Il libro, che Lorenzo Trombetta, ha definito
uno sforzo di raccogliere quante più storie possibile perché rimangano oltre la cronaca destinata all’oblio. Perché nessuno merita d’essere dimenticato.
narra le vicende di persone intrappolate in uno Stato in cui non vogliono rimanere (ad esempio in Serbia, in seguito alla decisione della Croazia di respingere al confine i non siriani, non-iracheni e non-afghani, che rimangono dunque “incastrati” nella no man’s land serba: un limbo di stasi obbligata, dal quale non possono proseguire il loro viaggio e non vogliono tornare indietro), o che non rientrano nel circuito dell’accoglienza e che, dunque, non esistono pur esistendo (credo che i goriziani ne sappiano qualcosa!). ElSa.
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