Prossimamente la giunta comunale, o, come è auspicabile, il Consiglio comunale, sarà chiamata ad approvare il Piano attuativo comunale di iniziativa privata denominato “EXC – Variante al P.A.C. Ex-Comar” in variante al P.R.P.C. di iniziativa privata di via Trieste approvato dallo stesso Consiglio con una delibera del 2008.
Di che si tratta? Si tratta di un’area posta tra le vie Trieste e Duca d’Aosta, dove, in passato, era insediata un’attività produttiva, oggi in stato di abbandono, e con la presenza di un edificio di recente costruzione non completato, delle dimensioni di 5.554 mq di cui 1327 mq ceduti al Comune per essere adibiti a verde pubblico, parcheggi, strada di accesso e spazi di manovra e 4.227 mq di lotto edificabile con possibilità di realizzare due fabbricati, destinati sia ad uso residenziale, sia ad ospitare attività commerciali al dettaglio e attività da destinare attività di servizio alle persone e alle imprese.
L’area in questione, se osserviamo la mappa dell’abitato di Gorizia, è adiacente alla via Trieste, quindi, da un punto di vista più allargato, situata tra i quartieri Sant’Anna, Sant’Andrea e Campagnuzza, interessata dal passaggio della linea ferroviaria e dalle strutture dello scalo ferroviario. La via Trieste si trova in una zona di Gorizia che ha vissuto, anche nella recente storia, uno sviluppo particolarmente intenso e impattante, sia in termini di costruzioni sia in quelli di attività consentite (praticamente quasi tutte) limitata, da una parte, dall’autoporto di Sant’Andrea e il raccordo autostradale e, dall’altra, dalla Via Duca d’Aosta strada.
Un’area, questa, che costituisce forse il più importante e trafficato snodo viario della città, transito principale da e per Udine e Trieste, oltre che collegamento con il centro, la Slovenia e la zona commerciale di via Terza Armata. In questa zona di Gorizia vi sono numerosi insediamenti abitativi, diverse caserme, esercizi commerciali, pubblici esercizi, imprese di trasporto, infrastrutture ferroviarie, parcheggi e transito di veicoli adibiti ai trasporti pubblici, alcune attività industriali dismesse e altre, come le due centrali a biomassa e l’impianto di trattamento dei rifiuti di alluminio, in via di realizzazione.
Questo piano attuativo, proposto da un privato e rimasto “dormiente” dal 2008, viene oggi, dunque, ad insinuarsi in un’area caratterizzata da una notevole urbanizzazione che si traduce in una predominante cementificazione del territorio e nella presenza di numerose fonti di inquinamento acustico ed atmosferico derivanti dalle abitazioni, dalle attività commerciali e produttive, dal traffico veicolare, dalla linea ferroviaria, ecc.
Una zona caratterizzata da uno sviluppo edilizio a mio giudizio, per diversi aspetti speculativo, avendo saturato i pochi vuoti urbani rimasti, con un consumo del suolo notevole e impattante, lasciandoci oggi capannoni vuoti, aree di servizio inutilizzate perché inutili, insediamenti abitativi semivuoti. Un’urbanizzazione “disordinata” tipica della visione moderna di “città diffusa”, molto poco attenta alle relazioni e alle persone, concetti evidentemente assenti nella mente di chi è stato chiamato, almeno fino ad oggi, a “pianificare”, dove abitazioni, servizi e attività economiche dovrebbero essere, invece, collegate tra loro da una logica ed una visione “ecologica”, sia dal punto di vista sociale sia da quello ambientale.
Cito solo un esempio, a me caro, quello delle scuole di tutti gli ordini e gradi, presenti tra l’altro in un certo numero nei quartieri adiacenti alla via Trieste, che, a mio avviso, osservando anche modelli presenti in altri Paesi, dovrebbero essere al centro delle relazioni tra le persone di un quartiere, raggiungibili da una rete pedonale e ciclabile sicura e interconnessa, immerse in aree verdi e provviste di impianti sportivi e laboratori anche all’aperto (orti didattici e simili), insomma concepite per essere elemento di aggregazione sociale e di opportunità lavorativa ben diversamente da quanto non lo siano oggi, nella gran parte dei casi, a Gorizia.
Nel progetto, così come appare presentato negli atti disponibili, salta all’occhio allora il rapporto esiguo tra il “costruito”, quindi l’ulteriore cementificazione sia essa dovuta ad un fabbricato, ad una strada o ad un parcheggio e il “verde” previsto ovvero lo spazio del territorio lasciato libero. Non solo, appare anche alquanto discutibile anche la previsione di altri spazi commerciali e di altre attività di servizio alle persone e alle imprese, considerato che la zona in questione è già ben fornita di negozi al dettaglio e non mancano certo edifici da adibire ai servizi richiamati. Insomma, a chi giova?
Sembra assodato ormai nel nostro Paese e anche nella nostra seppure piccola città che il suolo non sia percepito come una risorsa esauribile, ma come terreno in attesa di essere edificato. È questo un fenomeno che, quasi sempre non nasce da esigenze proprie del territorio, da istanze dei cittadini, bensì dal rapporto esclusivo tra il potere politico/amministrativo e quello economico che ha determinato la cosiddetta “città diffusa”, dove si riempiono i pochi vuoti urbani rimasti, favorendo la proliferazione di capannoni, centri commerciali e direzionali, collegati tra loro da strade e rotonde, spingendo sempre di più l’ampliamento di questa urbanizzazione mista e disordinata. La città compatta storica, dove era necessario minimizzare i movimenti, ora non esiste più: abbiamo la città aperta, in cui le aree urbanizzate (strade, parcheggi, etc.) possono arrivare anche al 70% del costruito.
Alcune considerazioni generali ma, ritengo, importanti: il suolo, con le sue funzioni eco-sistemiche, ospita le specie animali e vegetali, favorisce il ciclo vegetativo e idrico, l’assetto climatico, assorbe i rifiuti, fissa la CO2, depura le acque e ci permette così di vivere.
Ricordiamocele queste considerazioni, quando ci sottopongono progetti che tendono ad allargare l’urbanizzazione o a saturarla a colpi di “piccoli lotti” e di “piani attuativi dormienti” con previsione edilizie le cui cubature guarda caso, prese nel contesto di un limitato progetto, vengono presentate come “ridotte” ed “equilibrate” ma che se inserite nel contesto generale di un’area più vasta, come quella descritta, contribuiscono, invece, al noto fenomeno del consumo del suolo e a tutto ciò che esso comporta. Ma si sa questi interventi sono considerati sempre singolarmente, sicché puntualmente non vengono assoggettati alla V.A.S (Valutazione di Impatto Ambientale) perché ritenuti privi di “effetti significativi sull’ambiente.
Il consumo del suolo, come si è detto, ha oggi, più che mai, invece, effetti assai significativi sull’ambiente. Non solo, esso è quasi sempre legato ad opere che nel contesto in cui vengono progettate, non servono o, addirittura, ne peggiorano le condizioni sociali ed economiche. Insomma tutto all’incontrario di quello che dovrebbe essere il senso di “pianificazione urbanistica” a misura di persona e di comunità!
L’invito che faccio al Consiglio comunale, è quello di incominciare proprio da questo caso e da eventuali prossimi altri simili nonché, in particolare, dalle annunciate modifiche del Piano Regolatore Generale del Comune con la Variante 41, a invertire la tendenza sopra ricordata, non priva di gravi ripercussioni, chiedendosi e, soprattutto, chiedendo ai cittadini che rappresentano, in quale tipo di città vogliono vivere: una città dormitorio, insalubre, con le strade vuote di persone e piene di veicoli, pensata con la logica di un centro commerciale, sempre più povera di verde e di socialità, oppure una città accogliente, vivace, salubre, curata nei suoi aspetti storici, artistici e paesaggistici a misura di tutti, finalmente pensata, proprio a partire dall’assetto urbanistico, per favorire l’incontro tra le persone e abbattere quella diffidenza e quell’egoismo che ancora oggi impediscono ai goriziani di essere una comunità.
Pertanto laddove sia ancora possibile e nei modi previsti dall’attuale strumento urbanistico, invito il Consiglio comunale e l’attuale Amministrazione, a fare di tutto per impedire questa ulteriore cementificazione e di pensare, invece, di convertire questo progetto, d’intesa con il privato, in uno diverso e alternativo, dove il “verde” non è inteso come la cornice del cemento con qualche aiuola, ma l’elemento centrale, a servizio, non solo della salubrità di tutta la zona circostante, ma anche della socialità delle persone e delle famiglie.
L’invito che faccio ai cittadini di Gorizia, similmente, è di non accettare mai che la città in cui hanno scelto di vivere continui ad essere trattata come una “merce acquistabile, vendibile e consumabile” dall’Amministrazione di turno e, pertanto, d’intervenire sul merito di queste decisioni, facendo sentire forte la propria voce! Stefano Cosolo
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