La questione della mostra promossa dall’associazione Koiné non si può dire archiviata.
Certo, il tempo ha blandito gli animi ma la sensazione è che tutti gli addetti ai lavori vivano chiedendosi quotidianamente se i risultati dei propri sforzi – organizzativi, creativi e pure economici – verranno o meno apprezzati, condivisi, avallati.
E in tempi di una precarietà che investe per primo il mondo dell’arte e della cultura la domanda è ancor più legittima, soprattutto in virtù della sua opportunità.
L’interrogativo principe, al momento, può infatti essere:
mi espongo manifestando la mia opinione, sebbene contraria a quella dell’amministrazione, nonostante questo possa precludermi delle strade; o abbozzo, metto a tacere le mie idee e vado avanti? Piegare la testa, i pensieri, nascondere delle convinzioni o accartocciare progetti, realizzandoli magari in termini minori perché non ci sono stati contributi? Questo è il dilemma.
Alcuni si sono esposti pubblicamente: dalla presa di posizione “contro” dello studio Faganel, che ha manifestato il proprio dissenso decidendo di tenere le serrande abbassate durante “Gusti di frontiera”, alla perplessità espressa da Roberto Kusterle e Cristian Natoli attraverso le pagine de “Il Piccolo”.
Mostra saltata, Comune censurato
Dieci giorni fa ho inoltrato la richiesta di un parere agli artisti presenti nel mio indirizzario: non infinito, ma discreto.
Le risposte ricevute (che prevedevano anche la possibilità di un’opinione anonima) si contano sulle dita di una mano (due, a dire il vero: sette le mail totali).
In buonafede penserei a impegni familiari, lavorativi, a un «Ok, ci penso più tardi e leggo con attenzione». In malafede, penso che forse i timori precedentemente descritti siano fondati.
A parte la dichiarazione di scetticismo nei confronti dei lavori da esporre espressa da Arnaldo Grundner («idea banale (…) vista e rivista tante volte a Venezia in diverse Biennali») gli altri artisti palesano il proprio dissenso per la negazione della libertà di espressione che è alla base dell’espressione artistica, concetto chiaramente svolto da Renzo Pagotto, presidente dell’associazione culturale “Il segno” di Gradisca d’Isonzo. E aggiunge:
L’Artista non deve subire alcun condizionamento altrimenti facciamo un regalo a chi vuole relegarla ad uno strumento del palazzo. Pertanto ritegno che la mostra doveva essere fatta anche in rispetto a tutto un lavoro di ricerca e di preparazione fatto dagli artisti stessi.
Se questa è Gorizia, la cultura è al precipizio
dichiara lapidario Vittorio Balcone, scultore ed ex insegnante dell’Istituto d’arte locale.
“Bene o male, basta che se ne parli”, recita la saggezza popolare. E in effetti negando la realizzazione della mostra “Limes” il Comune ha fatto uno strepitoso autogol che ha amplificato la pubblicità di una mostra ridotta a mero fantasma, svelando apertamente la propria chiusura verso forme d’arte lesive della sensibilità dell’amministrazione, non certo di quella dei cittadini che, trovandosi davanti al tanto citato muro, avrebbero avuto la facoltà di riflettere sul suo perché o di dire “Vara qua che roba. Mi no capisso”.
La pensa così Franco Buttignon, artista monfalconese, uno fra i pochi ad aver risposto al mio sondaggio in merito, che osserva:
In un momento difficile per l’essere umano a sopravvivere ed autodifendersi da guerre e sopraffazione volute e create da chi detiene le redini del potere sembra assurdo che venga colpita pure l’arte sotto ogni forma espressiva. Così facendo si continua a mostrare i muscoli e in maniera unilaterale affossare il mondo creativo. Credo che il pensiero e le manifestazioni artistiche non debbano avere ne confini ne muro o divieti da parte di alcuni. L’arte e’ di tutti e per tutti.
Si pone da un punto di vista diverso lo scultore Paolo Figar secondo il quale il nocciolo della questione sta nell’assenza di una seria programmazione da parte delle amministrazioni.
Nessuno ha sottolineato che il gruppo Koinè si è relazionato con un sindaco (Romoli, ndr.) che aveva anche l’incarico di assessore alla cultura… situazione precaria e non professionale, cattivo segno quando, come nel caso di un evento espositivo urbano, si debba preparare e progettare tutto, anche i problemi o le difficoltà. Emerge da questi punti che l’unico motivo di udienza è la concomitanza con le scorse elezioni comunali, e non la volontà programmatica sull’offerta culturale. Tuttavia la presente amministrazione non aveva alcun obbligo a concludere e risolvere impegni precedenti, nessuno ci ha parlato di contratti sottoscritti tra Comune e Koinè, ergo non sussistono.
Ed è senza dubbio un fatto che, secondo Figar, rientra tutto sommato nella precarietà in cui vive l’arte, trascurata dalle amministrazioni che preferiscono biglietti da visita di immediata risonanza come possono essere altre manifestazioni locali:
Per me in qualità di artista il problema vero è, e non da ieri, la mancanza di programmazione seria e professionale da parte delle amministrazioni, e la continuità che ne rafforza l’azione. In altri casi funziona (èStoria, Gusti): perché non anche nell’arte contemporanea? Se ci fosse stata una volontà precisa ci sarebbero stati anche accordi precisi.
Mantenendone l’anonimato, uno degli autori che ha risposto ha citato anche l’exploit di Sgarbi in merito:
ora, vogliamo proprio parlare dell’opportunità del suo coinvolgimento? Ha qualcosa a che fare con Gorizia? Anche in questo caso: a pensare male credo sia stato prezzolato per dare una certa lettura dei fatti; a pensar bene si è documentato, ha visionato le foto e ha cercato di comprendere i motivi delle opere. Non so perché, da quando ho saputo della sua esternazione mi è tornata in mente la volta in cui, quindici anni fa o giù di lì, era stato chiamato in città per presentare una mostra di un autore semi sconosciuto. La folla ad attenderlo, lui arriva in ritardo, entra e inizia a parlare di tutt’altro. Magari lo ha fatto perché nemmeno ricordava il nome dell’artista. Ma chi sono io per dirlo? Eliana Mogorovich
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