Viviamo un momento storico in cui sembra si siano perse non solo la memoria storica, ma anche la conoscenza dei principi e delle regole fondanti il patto sociale alla base della nostra comunità. Sono sempre più frequenti i fatti che la cronaca ci riporta, di intolleranza e di razzismo, spesso in forme che si ispirano all’ideologia fascista e che ricalcano le relative simbologie, squadrismo compreso.
Ricordo a questo proposito solamente l’ultimo episodio, in ordine di tempo, riguardante il blitz degli skinhead a Como nella sede della rete di associazioni Como senza frontiere interrompendone l’assemblea. Episodio sul quale è intervenuto anche il Ministro della Giustizia Andrea Orlando in una intervista a Repubblica riportata anche sul blog “fanpage.it”, dichiarando che “questi gruppi vanno sciolti… La normativa spinge già in quella direzione.
Quando ci sono messaggi che richiamano parole d’ordine del fascismo, e per di più vengono veicolati con l’uso della forza e dell’intimidazione, deve intervenire lo scioglimento”, ponendo poi degli interrogativi sugli attuali strumenti normativi: “C’è da chiedersi se siano adeguati oppure no”, sostiene aggiungendo che è necessario valutare anche “se vengono utilizzati abbastanza” e concludendo che “Alla luce dei fatti a cui stiamo assistendo – un crescendo quasi seriale di episodi e provocazioni scatenate dai movimenti di estrema destra – credo sarebbe utile una ricognizione per capire il motivo per cui le incriminazioni sono così poche. Per questo mi confronterò con il Csm”.
Vediamo, allora, quali sono questi “strumenti normativi” di cui dispone oggi l’ordinamento giuridico italiano.
La soppressione del Partito nazionale fascista avvenne ufficialmente con il Regio Decreto n. 704 del 1943. Fu il Decreto Luogotenenziale n. 195 del 1945 a prevedere la “punizione dell’attività fascista nell’Italia liberata” attraverso sanzioni penali da comminare a chi avesse ricostituito, sotto qualsiasi forma o denominazione, il partito fascista, ovvero ne avesse promosso la ricostituzione.
Nel 1947 il Trattato di Pace fra l’Italia e le potenze alleate obbligò il nostro Paese a non permettere in territorio italiano, la rinascita di organizzazioni fasciste, siano esse politiche, militari o militarizzate. Fu attraverso questo iter che si giunse alla formulazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione la quale, al primo comma, dispone che “è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”.
Alcuni anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, 1° gennaio 1948, viene emanata la legge 20 giugno 1952, n. 645, Legge Scelba, che prevede sanzioni penali per la riorganizzazione del disciolto partito fascista e per l’apologia del fascismo ovvero le manifestazioni esteriori di tale ideologia.
La Legge Scelba – articolo 2 – prevede, per chiunque promuove, organizza o dirige associazioni, movimenti o gruppi per perseguire “finalità antidemocratiche proprie del partito fascista” la pena della reclusione da cinque a dodici anni e la multa da 2 a 20 milioni di lire e, per chi partecipa, la pena della reclusione da due a cinque anni e la multa da 1 a 10 milioni di lire.
In particolare, al fine dell’applicazione delle sanzioni penali, la legge penale precisa che “si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista”.
L’apologia del fascismo, invece, secondo la Legge Scelba – art. 4 – si integra nella condotta di chiunque fa propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità della riorganizzazione del disciolto partito fascista e di chi pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche. Per entrambe le fattispecie la pena prevista è la reclusione da sei mesi a due anni e la multa da 400 mila lire a 1 milione di lire.
Infine – articolo 5 – è punita con la reclusione sino a tre anni e con la multa da 400 mila a 1 milione di lire, la condotta di “chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste”.
Successivamente sono intervenute la legge 654 del 1975, di ratifica della convenzione di New York del 7 marzo 1966 contro la discriminazione razziale, e la legge 205 del 1993, cosiddetta legge “Mancino” che ha convertito il DL 122 del 1993, che punisce chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale ed etnico (reclusione fino ad un anno e sei mesi o multa fino a 6 mila euro) e chi istiga a commettere o commette atti di violenza e di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (reclusione da sei mesi a quattro anni) ovvero organizza associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi quelli l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
La giurisprudenza sull’applicazione di queste norme non è stata sempre univoca, in particolare quando si è posta la questione del loro eventuale contrasto con il principio costituzionalmente garantito della libertà di manifestare il proprio pensiero di cui all’art. 21 della Costituzione (per esempio attraverso parole, frasi o gesti, quando questi sono ricollegabili al fascismo, come il saluto romano).
La Corte costituzionale si è espressa sulla questione di legittimità costituzionale dell’apologia con riferimento alla asserita violazione dell’art. 21 Cost. con la nota sentenza n. 1 del 1957. La sentenza – dichiarando la manifesta infondatezza della questione e non ravvisando alcuna violazione delle disposizioni contenute nell’art. 21 della Costituzione – ha, tuttavia, precisato che l’apologia del fascismo, per assumere carattere di reato, deve consistere non in una semplice difesa elogiativa, ma in una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista cioè in una «istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla detta riorganizzazione e a tal fine idoneo ed efficiente». Dunque, soltanto il collegamento con il tentativo di riorganizzare l’abolito partito fascista può realizzare il reato di “apologia del fascismo”.
La Cassazione, da parte sua, si è decisamente orientata in senso contrario a qualunque tipo di interpretazione elastica ed in qualche modo permissiva. Si ricorda in tal senso la sentenza n. 25184 del 17/06/2009 emessa dalla I Sezione per la quale “il saluto romano non è espressione della possibilità di manifestare liberamente il proprio pensiero ma è un gesto che istiga all’odio razziale”, e come tale va punito ai sensi della Legge Mancino.
Nella sentenza n. 37577 del 2014, la Cassazione ha ritenuto che il saluto romano è, come manifestazione fascista, punibile ai sensi dell’art. 5 della Legge Scelba in quanto ” reato di pericolo correlato al fatto che le manifestazioni usuali, evocative del disciolto partito fascista, vengono in rilievo in quanto realizzate durante pubbliche riunioni e pertanto possiedono idoneità lesiva per la tenuta dell’ordinamento democratico e dei valori allo stesso sottesi”. Nella fattispecie – secondo la Corte – deve ritenersi pienamente configurato il fatto tipico e punibile, posto che il “saluto romano” di certo rientra nelle manifestazioni esteriori considerate idonee a determinare il pericolo di riorganizzazione del partito fascista ed è stato posto in essere durante una pubblica manifestazione.
Attualmente, infine, è in fase di approvazione in Parlamento una legge per introdurre nel codice penale un nuovo articolo, il 293-bis, con l’obiettivo di definire e ampliare le tipologie di comportamento e condotta che sono definibili come apologia del fascismo prevedendo che “chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici”.
Quest’ultima proposta di legge nasce dalla ritenuta esigenza di introdurre uno strumento che permetta di superare “l’interpretazione restrittiva” in sede di applicazione della normativa esistente al fine di sanzionare penalmente anche condotte quali, per esempio, la vendita di gadget ispirati al ricordo storico del ventennio fascista o al nazismo, o di chi inneggia al fascismo sui social network o in altri ambiti.
Insomma in Italia le norme ci sono e si possono anche aggiungerne delle altre, come si è ricordato, quello che non è ancora assolutamente chiaro e pacifico, e lo si è visto anche in sede di discussione su quest’ultima proposta di legge e nel caso dell’episodio di Como, ultimo in ordine di tempo di una sequenza ininterrotta di fatti simili, se ci sia la volontà di fare i conti, una volta per tutte, con il passato, riconoscendo in modo chiaro e inequivocabile che l’odio razziale, classista e di genere nel nostro Paese ha un nome, precisamente fascismo e/o neofascismo. Stefano Cosolo
Reato dunque anche il saluto fascista. Ma questo la giunta comunale lo sa? Perchè ho visto certi video in giro…
Articolo molto interessante e purtroppo il fascismo sta ritornando con tanta subcultura che in gran parte deriva da una tv spazzatura nata negli anni ‘80.
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