Correva l’anno 2012, quando il 17 dicembre, il Consiglio comunale di Gorizia approvava la Variante n. 36, riclassificando l’area di proprietà di una società richiedente, sita in via Trieste n. 132-134, originariamente H2.4 “ Aree per i concessionari auto e le attività di servizio alle persone e alle imprese” nella destinazione urbanistica D.3.I “ Insediamenti industriali esistenti”. La variante non venne assoggettata alla V.A.S. (Valutazione Ambientale Strategica) in quanto, si legge negli atti di allora, “non sono previsti ampliamenti di insediamenti produttivi o l’introduzione di potenziali sorgenti di inquinamento per l’ambiente o la saluta umana, pertanto, la variante non apporta allo strumento urbanistico elementi e/o previsioni di rischi per la salute umana o per l’ambiente.”
Così iniziò la vicenda del progetto industriale che, poi, nel 2014 venne presentato dall’imprenditore proponente al Patto per lo sviluppo della provincia di Gorizia (costituito dai Comuni di Gorizia e Monfalcone, dalla Provincia di Gorizia, CCIAA Gorizia, CGIL CISL UIL, Unione industriali di Gorizia) con il nome “Three shades of green” come un “progetto industriale innovativo nel recupero e raffinazione dei rottami e dei rifiuti di alluminio” comprendente la centrale a biomassa “South” e la centrale a biomassa “North” da realizzarsi a Gorizia in via Trieste, purtroppo all’interno del centro abitato, tra le case, i campi di calcio, gli asili, le scuole, le vie, i negozi, le caserme e quant’altro dei quartieri di Sant’Anna e Sant’Andrea, invece che in zona isolata lontano dal centro abitato.
La Costituzione italiana sancisce che “l’iniziativa economica privata è libera” e allo stesso tempo, per bilanciare i legittimi interessi degli imprenditori con quelli, altrettanto legittimi, degli altri cittadini, afferma che essa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Spetta alla pubblica amministrazione e, per quanto di competenza, alla politica il dovere di ponderare gli interessi, le prerogative e i diritti in gioco, affinché nel rispetto dell’articolo 41 ed altri della Costituzione (non solo, anche del diritto comunitario e di altri norme italiane di secondo grado di cui non si dà conto in questa sede per brevità) siano garantiti da una parte la libera iniziativa economica e, nel contempo, la sicurezza, la salute e la dignità delle persone. Non solo, è necessario anche un controllo affinché sia rispettato il principio della funzione sociale dell’impresa, laddove in una comunità non può mai giustificarsi un’attività per il mero e solo interesse personale quando questa comporti sacrifici altrui.
É stato assolto questo dovere? E in che modo? Ognuno può dare, ovviamente, una sua risposta a questi interrogativi. Certo non si possono negare alcuni fatti inconfutabili, quali, per esempio quello riguardante la procedura di approvazione della variante 36, che, come si è ricordato, non fu assoggettata a V.A.S. (valutazione ambientale strategica). Neppure il fatto che, successivamente, gli impianti non vennero assoggettati nel loro complesso a V.I.A. (Valutazione di Impatto Ambientale) perché le autorizzazioni furono richieste singolarmente per ognuno di essi e, come tali, autorizzate dalla allora Provincia (oggi la competenza è passata alla Regione).
Proprio leggendo gli atti relativi alle varianti e alle autorizzazioni rilasciate per questa industria al sottoscritto ma assicuro, anche a tanti altri cittadini, restano, invece di sicuro, tutte le perplessità, le preoccupazioni e i timori del caso.
Prima di tutto: perché il Consiglio comunale, nell’esercizio della sua funzione politica, nel 2012 approvò la variante 36? Quale era ed è, oggi, anche a fronte di proroghe concesse e di recenti mutamenti addirittura sostanziali del piano industriale, come la riduzione di potenza della Centrale Sud, l’utilità sociale di questa iniziativa economica? Segnatamente, oltre al profitto dell’imprenditore, ci si chiede quale sia il suo beneficio per la comunità cittadina in termini di approvvigionamento elettrico, di ricaduta lavorativa, di compensazione ambientale (teleriscaldamento), ecc., proprio, in particolare e a maggior ragione, a fronte del sacrificio richiesto alla collettività per la sua dislocazione in mezzo alle abitazioni, piuttosto che nella zona industriale o comunque, in un’area distante dall’abitato.
E, ancora, quali rischi effettivi per l’ambiente e, quindi per la salute ne deriveranno? Da dove arriverà il cippato necessario a far funzionare le centrali a biomassa? Verrà combusto solo il cippato o altro? È lecito chiedersi anche quale sarà l’impatto per l’ambiente e, quindi, per la salute, delle emissioni dei quattro impianti sommato a quello del traffico veicolare della zona e a quello delle altre centrali di produzione elettrica già presenti a Sant’Andrea (dato, questo, che sarebbe dovuto emergere proprio dalla V.I.A.), quali rischi ed effetti conseguenti alla produzione di gas, al probabile innalzamento della temperatura nella zona a seguito della attività, alle emissioni, al deposito del cippato e a quello dei rifiuti di alluminio e al loro trattamento.
Non dimentichiamo poi il potenziale inquinamento elettromagnetico e quello acustico, oltre che quello causato anche dall’aumento del traffico della via Trieste e delle altre strade di accesso, visto che l’alluminio viaggerà su camion e il correlato problema della sicurezza stradale. Non va inoltre taciuto anche il deprezzamento che evidentemente subiranno gli immobili di Gorizia a causa di questo impianto industriale realizzato, appunto, all’interno del centro abitato.
Domande e preoccupazioni, queste, alle quali, ad oggi, ancora, non sono state date risposte e rassicurazioni precise e puntuali. Forse perché non è possibile darle? Dobbiamo forse attendere l’entrata in funzione di questi impianti per sapere, come si dice, “di che morte morire”? Temo, infatti, che il fatto grave sia proprio quello di essere arrivati a questa situazione, in modo che, torna molto forte, il già espresso dubbio che pubblica amministrazione e politica non abbiano, in questa occasione, svolto adeguatamente la loro funzione di valutazione e bilanciamento degli interessi contrapposti, evidentemente non considerando sufficientemente, o in modo appropriato, quelli relativi alla salvaguardia del territorio e dell’ambiente, beni primari e insostituibile per il benessere psicofisico dei cittadini.
Oggi, all’inizio del 2018, dopo il recente rifiuto della maggioranza del Consiglio comunale di approvare la mozione richiesta dai cittadini che, se fosse passata, avrebbe impegnato il Sindaco con un atto politico a verificare e approfondire in ogni sede opportuna alcune osservazioni tecniche messe nero su bianco come aveva “curiosamente” richiesto ai cittadini lo stesso Sindaco in precedenza, mentre i lavori dell’impresa proseguono, l’attuale amministrazione che fa?
Non è dato saperlo, tant’è che nell’ultimo consiglio comunale non è apparsa certo soddisfacente la risposta del Sindaco alle due interrogazioni presentate a riguardo dal Consigliere comunale Andrea Picco.
Cittadini senza tutela? Fino ad oggi pare proprio di si. Buon 2018! Stefano Cosolo
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