Bombe italiane in Yemen vendute all’Arabia Saudita, contravvenendo una precisa norma che vieta la vendita di armi alle nazioni che non rispettano i diritti civili, sversamenti costanti di petrolio e altre sostanze inquinanti nel delta del Niger -denunciate dalla comunità locale degli ikebiri – da parte di Eni in Africa, che con le sue politiche contribuisce alla rovina del territorio nazionale e causa le migrazioni; blocchi militari del nostro esercito per fermare il flusso dei migranti in Niger, missioni in Afghanistan che durano da 15 anni, senza evidentemente raggiungere alcun risultato politico, visto che il paese è sempre più instabile, mentre i costi per il nostro paese aumentano a ben 295 milioni di euro all’anno e i giovani continuano a riversarsi in Europa.
Questi sono problemi reali che la politica nazionale si guarda bene dall’affrontare. Se l’immigrazione fosse legata alle politiche economiche che le multinazionali fanno negli altri continenti, allora il problema assumerebbe un altro significato, non solo umano e legato all’accoglienza, ma politico, cioè collegato agli interessi economici e militari nostri e di altri paesi.
In problema di fondo che nessuno solleva è quello della nostra uscita non dall’Europa ma dalla NATO. Che senso ha restare in un’alleanza anacronistica, nata per bilanciare il patto di Varsavia ai tempi della guerra fredda? Ormai il comunismo ad est non esiste più e a noi la permanenza in un’alleanza che vuole esportare la democrazia con le bombe, destabilizzando paesi come la Libia e creando problemi all’Italia, costa più di quanto garantisca.
La pericolosità di stare sotto l’ombrello di Trump è testimoniato da un libro uscito recentemente negli Stati Uniti e segnalato dal grande esperto Manlio Dinucci proprio a firma del presidente degli Stati Uniti, in cui si afferma testualmente “La Cina e la Russia sfidano la potenza, l’influenza e gli interessi dell’America, tentando di erodere la sua sicurezza e prosperità”.
Parole poco rassicuranti e in prospettiva per nulla pacifiche da parte di un politico ritenuto dal suo stesso staff un incapace, che però è in grado di trascinarci in guai molto seri. adg
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