Non una ma almeno sei rivoluzioni hanno trasformato la Russia accompagnandola nel processo di formazione dell’URSS. “La Rivoluzione russa. L’arte da Djagilev all’astrattismo. 1898 – 1922” propone infatti la tesi che siano stati diversi i momenti di rottura che hanno contemporaneamente avvicinato e manifestato le diversità fra l’Europa e l’impero zarista anche una volta che questa sfavillante quanto effimera epoca si era conclusa.
La mostra, allestita dal 20 dicembre al piano nobile di Palazzo Attems, è stata ideata da Giuseppe Barbieri e Silvia Burini, docenti del Centro Studi sulle Arti della Russia facente riferimento all’Università di Ca’ Foscari. Le tredici sale in cui si articola il percorso si aprono con la scenografica proiezione di un filmato curato dallo studio CamerAnebbia di Milano.
Grazie anche alla colonna sonora pertinente, che spazia da Skrjabin a Mosolov passando per l’ “Uccello di fuoco” di Stravinskij, si viene catapultati in atmosfere lontane attraverso le immagini tridimensionali che fanno rimbalzare davanti agli occhi dello spettatore i volti degli zar e di Rasputin, i dipinti di Kandinskij e Rodčenko, la assemblee dei soviet e le parate di Lenin.
Il percorso comincia quindi dal 1898 con l’esperienza della rivista “Il mondo dell’arte”, patrocinata dal collezionista e patron delle arti Sergej Djagilev. Raffinato promotore dei Balletti Russi, quest’esperienza ha favorito il contatto con l’Europa e Parigi di autori come Larionov e la Goncharova dimostrando in tal modo la “tenuta” e l’originalità della pittura russa rispetto all’occidente.
Seguono le sale dedicate al simbolismo e al neoprimitivismo, rappresentati rispettivamente dalla Rosa azzurra e dal gruppo del Fante di Quadri di cui ha fatto parte per un breve periodo anche Kandinskij, fra i protagonisti della sala relativa al 1910 con un dipinto che segna una fase interlocutoria dell’autore, ancora in bilico fra figurazione e astrazione.
La sezione del 1913 si apre con un omaggio alle Amazzoni scite, artiste che lottarono per affermare un tipo di pittura nuova, che pur facendo riferimento tanto al cubismo picassiano quanto al futurismo, continuava tuttavia a riconoscere l’importanza delle tradizioni locali.
Tradizioni che si riverberano anche nella produzione di vassoi di ferro, tazzine, piatti e portacipria che passano agilmente dalla raffigurazione della cerimonia del tè alla sua sostituzione con soggetti di propaganda rivoluzionaria. Manifesti inneggianti la conclusione del regime zarista e l’avanzata dei soviet campeggiano nelle sale successive: sorta di fumetti con commento scritto per quei pochi in grado di leggerlo, spesso affidati alla mordace penna di artisti compiacenti come Vladimir Majakovskij.
L’approdo al nuovo regime e al costruttivismo è affidato alle teste di Lenin e del ministro Lunačarskij di Natan Al’tman, fra gli autori impegnati nella creazione di un’arte nuova, capace di incidere sulla società e farsene pervadere. E questo nonostante in molti, Al’tman compreso, giungessero all’astrattismo manifesto nelle composizioni geometriche e cromaticamente pervasive che riaccompagnano il visitatore nel salone, dove può approfondire i temi incontrati lungo il percorso nei touch screen posti sul retro del pannello dove viene proiettato il filmato. La mostra, aperta dal martedì alla domenica con orario 10-18, può essere visitata fino al 25 marzo. Eliana Mogorovich
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