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“Un simbolo è un rapporto, non un oggetto”: il 25 Aprile Festa della Liberazione e la bandiera italiana simbolo rivoluzionario di democrazia, diritti e libertà. Un monito per tutte le forze politiche democratiche del nostro Paese e per la “distratta” sinistra in particolare

23 Aprile 2018 by Redazione Lascia un commento

Nella votazione finale dell’Assemblea Costituente avvenuta il 20 dicembre 1947, venne deciso anche l’inserimento  nella Costituzione, democratica e antifascista, un articolo riguardante la bandiera  tricolore quale simbolo della Repubblica italiana: “ La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.” (art. 12 Costituzione)

Assistere oggi a sventolii di bandiere tricolori durante le manifestazioni  di gruppi neofascisti, appropriatisi a proprio uso e consumo della bandiera italiana, emblema e simbolo dello Stato Repubblicano nella sua unità e come attuale forma di governo, così come, nel contempo, a manifestazioni di partiti e movimenti di sinistra senza o con pochissime bandiere tricolori mi suggerisce alcune riflessioni sul significato della bandiera italiana, sul valore di questo simbolo e sulla generale tendenza all’abbandono delle proprie radici da parte della sinistra italiana, lasciando così campo aperto all’avanzata di estremismi nazionalistici e dei loro convincimenti antidemocratici, antilibertari e razzisti .

“Un simbolo è un rapporto, non un oggetto” affermò Raymond Firth e il tricolore esprime il rapporto di italiani diversi fra loro.

Alberto Melloni, storico italiano, nel descrivere il difficile cammino del vessillo tricolore racconta che, per esempio, subito dopo l’Unità esso  «non emozionava tutti », ricordando l’avversione dei cattolici e il legame dei socialisti con la bandiera rossa laburista. Si arrivò poi al «tricolore carpito dal fascismo»: quei colori rubati per farne l’emblema della dittatura, sotto i quali gli italiani si scoprirono capaci di una violenza senza precedenti  con la quale repressero ogni forma di dissenso e opposizione, perseguitarono gli ebrei, si macchiarono di eccidi impuniti. Poi fortunatamente ci furono la Resistenza, la Liberazione e la Costituzione Repubblicana.

Del resto lo stesso Lucio Villari, altro insigne storico italiano, notava che “c’è una grande responsabilità della sinistra italiana, dalla fine dell’Ottocento fino ai primi anni della Repubblica, nel non aver visto nel tricolore un simbolo unificante. È vero, ci fu la strage della Prima Guerra mondiale, quindi il fascismo. Ma il disamore si è radicato a lungo. E certe conseguenze, a sinistra, le vediamo addirittura oggi…»

La bandiera, scelta dal Costituente, si ispira al modello francese del 1790 ove le tre bande uguali, utilizzate da tutte le democrazie europee con differenti colorazioni, rappresentano i tre cardini, libertà, uguaglianza, fraternità, che costituiscono la matrice ideologica e libertaria comune degli Stati democratici.

Infatti il tricolore, anche nelle nostra terra, ha rappresentato, in origine, non tanto un’appartenenza nazionale, quanto le “idee francesi”, la rivoluzione, la nuova consapevolezza di essere cittadini e non sudditi, l’importanza della partecipazione e della responsabilità condivisa della cosa pubblica.  Non è un caso che, con la caduta di Napoleone e la Restaurazione dei regimi monarchici assolutistici, il tricolore italiano entrò in clandestinità.

È sotto questo vessillo che si coniugano la rivendicazione dei diritti dell’uomo e del cittadino dichiarati in Francia nel 1789  e le prime aspirazioni all’autodeterminazione nazionale. L’ingresso ufficiale del tricolore nella storia italiana, come emblema della libertà repubblicana, avviene il 7 gennaio 1797, quando il Parlamento della Repubblica Cispadana, lo decretò «Bandiera Cispadana». Adottato nel 1831 da Giuseppe Mazzini come vessillo degli ideali della Giovane Italia, diviene definitivamente il simbolo nazionale  democratico italiano negli anni cruciali del 1848 – 1849.

Nei due secoli della sua esistenza, dunque, la bandiera è stata il simbolo, nel bene e nel male, dell’identità nazionale: di democrazia, libertà e diritti ma anche di nazionalismo bellicista e di fascismo.

É importante allora ribadire che con l’avvento della Costituzione repubblicana la bandiera si carica di una valenza simbolica ben diversa da quella assunta nel regime fascista laddove si identificava come simbolo ed emblema esclusivo della sovranità nazionale «d’uno Stato che non riconosce altri valori oltre quelli dei quali si fa detentore ed impositore”: la collocazione della disposizione sulla bandiera nazionale all’interno dei principi fondamentali (articoli 1-12) è stata scelta e voluta proprio per sottrarre tale norma alla «revisione ordinaria» e a un eventuale attacco di un «ideologia contraria e antidemocratica».

La scelta dei  Padri costituenti fu perfettamente consapevole di come era stato usato nel recente passato il tricolore, volendo perciò riportarlo ai suoi significati originari. Del resto già il referendum istituzionale del 2 giungo 1946 aveva liberato il vessillo del simbolo monarchico. Ecco che allora la bandiera italiana, con l’entrata in vigore della Costituzione il 1° gennaio 1948, diviene il simbolo della Repubblica e della sovranità popolare ovvero l’emblema di un popolo che vuole e si raccoglie in una  società politica fondata con un patto tra persone libere ed uguali.

Concludo riaffermando che la bandiera italiana, così come prevista dalla Costituzione, non c’entra nulla con deliranti  “sentimenti patriottici nazionali” e con pretese relazioni tra terra e sangue, tra l’altro inconcepibili al tempo della Costituente dopo l’esperienza tragica dei totalitarismi e del fascismo in Italia: essa è simbolo dell’unico “patriottismo” che non rischia di essere esclusivo e antidemocratico, quello costituzionale. Stefano Cosolo

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