Ieri sera al Molino di Novacco si è parlato della legge Basaglia, in occasione di una tavola rotonda che ho avuto l’onore di moderare e a cui hanno partecipato Francesco Comar, referente del Mulino, Paola Zanus, direttrice del centro di salute mentale Alto Isontino, Andrea Bellavite, sindaco di Aiello e Pieriluigi di Piazza, fondatore del centro Ernesto Balducci.
Sono passati 40 anni da questa legge, 70 anni dalla nostra Costituzione, meno di due dal rifiuto da parte del corpo elettorale di una riforma che ne avrebbe stravolto la natura democratica.
Il testo fondativo del nostro paese e la teoria che ha poi contribuito alla stesura della 180 hanno moltissimi punti in comune. Pensiamo ad alcuni articoli della Costituzione della Repubblica italiana: il diritto al lavoro, l’inclusione dei disabili in percorsi lavorativi, parità di trattamento tra uomini e donne (art.1), rimozione delle diseguaglianze economiche, sociali, di genere, generazionali, territoriali che impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art.3), tutela della salute (art. 32), diritto d’asilo, rispetto della dignità e dei diritti fondamentali delle persone, dei migranti economici e di quanti a qualsiasi titolo fuggano da regimi totalitari, territori di guerra o colpiti da crisi, carestie, disastri ambientali e violazioni dei diritti umani (art. 10, 11).
Quando Basaglia ha posto le basi di quella che poi sarebbe divenuta la legge 180 parlava sì di malattia mentale, ma si riferiva più generalmente agli squilibri di potere che permeavano e ancora sussistono nella nostra società: malato/medico; lavoratore/padrone; ricco/povero; uomo/donna; nativo/immigrato e alla lotta che ognuno di noi compie, con esiti differenti, per affermarsi come soggetto.
La domanda a questo punto potrebbe essere: perché, pur esistendo un testo così completo e un’intuizione così brillante, viviamo ancora in una società così connotata dallo squilibrio?
La risposta più semplice potrebbe essere che la società non si cambia da un giorno all’altro, ma sarebbe una risposta che consente ad ognuno di noi di abdicare alle proprie responsabilità.
Io ne preferisco un’altra, ovvero che nulla possono le migliori teorie e le leggi più complete se non incontrano la pratica di ognuno di noi, quindi soggettiva, all’interno della società. E’ come dire che l’intervento dall’alto, seppur indispensabile perché definisce un quadro di riferimento, debba ad un certo punto incontrarsi con l’intervento dal basso che parte dalla società, ovvero da ognuno di noi.
Del resto, l’aveva già detto Basaglia stesso: bisogna passare dal pessimismo della ragione all’ottimismo della pratica.
Le forme di questa pratica possono essere le più disparate: proviamo per un istante ad allontanarci dal campo psichiatrico e ad entrare in quello dell’immigrazione. Nulla possono i vari trattati, leggi, SPRAR se non incontreranno la voglia dell’individuo di conoscere il prossimo, lo straniero.
Nel nostro piccolo con Gorizia News & Views abbiamo fatto proprio questo: incontrare l’altro e porre le basi perché altri lo incontrino. ElSa.
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