Alla presentazione del libro di Antonio Slavich “All’ombra dei ciliegi giapponesi” si è discusso di disagio mentale e dell’esperienza dell’equipe di Franco Basaglia che nella nostra città iniziò un’azione di critica dell’istituzione imitata poi in tutto il mondo.
Si trattava di medici ricchi di studi filosofici e di una visione critica della società, culminata nell’apertura dei manicomi e nella travolgente sfilata di Marco Cavallo, azzurro simbolo della libertà dei pazienti, per le vie di Trieste (e molti anni dopo, anche di Gorizia).
A quel tempo di disagio si parlava in assemblea: erano anni in cui, come molti hanno ricordato, gli psicoanalisti “perdevano i loro pazienti”, perchè il malessere individuale era considerato un malessere collettivo, frutto di rapporti famigliari e sociali spesso comuni, che parlandone diventavano in qualche modo gestibili in modo migliore. Altri tempi, si dirà, ma oggi è urgente invece tornare a quella lezione.
Sul giornale si legge spesso di anziani che muoiono soli o la cui unica alternativa è la casa di riposo, di giovani che fanno uso di sostanze, di persone sempre più povere. Sentiamo parlare di cento persone che hanno uno sfratto esecutivo e si ritrovano senza casa, senza prospettive. A differenza di quegli anni di queste cose non si parla, chi è povero prova vergogna e rabbia per la propria condizione.
Allora raccogliere l’eredità di Basaglia vuol dire non solo fare un’opera culturale di riscoperta di una pratica psichiatrica studiata in tutto il mondo, ma tornare ad interrogarci sui meccanismi di esclusione, di silenzio, di rimozione che tengono nell’ombra le persone più fragili e trovare alternative all’emarginazione e alla solitudine. Gorizia, che ha precorso i tempi, può diventare il luogo della riscoperta di nuovi modelli del vivere collettivo. Complimenti agli organizzatori e ai relatori. adg
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