La giornata mondiale del rifugiato, oggi, rischia di tramutarsi in quella del rifiutato. Si chiudono porti, si tolgono risorse, si alimentano odio e disprezzo quotidianamente, infatti, solo per affermare una teoria di fondo: stattene a casa tua, disgraziato, lì puoi pure crepare che non mi riguarda.
Tutta questa retorica dell’aiutiamoli a casa loro, del migrante economico, del non scappano da nessuna guerra, altro non è che il “fardello dell’uomo bianco” aggiornato ai nostri tempi, un messaggio razzista di superiorità dettato dal culo di essere nati dalla parte del più forte. Ci sentiamo talmente superiori da arrogarci il diritto di decidere dove debba vivere o crepare ogni essere umano che non siamo noi. I diritti umani, le convenzioni, sono per “noi”, non per “gli altri”. Abbiamo insomma adottato il nostro punto di vista come l’unico al mondo.
E ci stupiamo, se “gli altri” non capiscono che “qui da noi” non c’è più posto, e che quindi il posto assegnato a “loro”, non si sa da chi, non è “il nostro”. A nostra volta noi non capiamo perché debbano venire tutti qua, a rovinarci il giardino di casa.
“Loro”, così diversi da “noi”. Di tutta questa retorica razzista si alimenta il pensiero comune, e di conseguenza il dibattito
politico, dei nostri tempi. Sulla pelle “diversa” degli “altri”. Se si vive una volta sola, beh, che per loro sia lontano da qui. Salvini, Orban e compagnia cantante sono per rifiutare, non per accogliere diversamente.
Sono razzisti, insomma, per convenienza politica. È un pensiero corto. Parlano alla pancia per riempire la propria, il proprio personale bisogno di potere. Prevarranno? Credo di no, perché il desiderio di vivere è una spinta troppo forte. Per sconfiggere questo tipo di pensiero verrebbe da dire: rifugiati di tutto il mondo, uniteci. AP
Rispondi