“Romoli espulso”, titolava ieri il Piccolo. Espulso: come un clandestino, o un terzino troppo irruento. Rosso diretto. Sarebbe un “normale regolamento di conti” all’interno di un partito, se non fosse che l’espulso, stando a quanto dice la sua famiglia, sta lottando per la propria vita in un letto di ospedale.
Ne parlo, quindi, non per commentare il fatto politico in sé, ma perché mi ha fatto un misto di pena e schifo sapere che c’è qualcuno che non ha il senso del limite, non sa quando è bene fermarsi, non riesce a controllare la propria sete di vendetta o di potere, e questo qualcuno guida una forza politica.
Perché questa decisione dice tanto di chi l’ha presa. E aiuta anche a comprendere per analogia altre decisioni prese da altri sui più deboli. Perché quello che stona è proprio questo: l’accanirsi sulla debolezza, l’approfittare da sciacalli dell’animale ferito.
Romoli, già immaginarlo in un letto di ospedale si fa fatica. È proprio il simbolo del potere esercitato con signorilità, senza il bisogno di arroganza. Uno che faticavi a figurartelo scendere nelle umane vicende quotidiane di ospedali o bollette da pagare. Un ottantenne solo all’anagrafe. Uno che ogni volta che parlavi di lui elencavi i titoli: senatore sindaco assessore, adesso presidente del consiglio regionale. Poi, improvvisamente la vita purtroppo si complica. E qui esce la iena di turno, incapace di trattenere l’impulso, desiderosa di finirti politicamente ma incapace di farlo ad armi pari.
Prende su tutta la sua miseria e la sua vigliaccheria e lo fa fuori. Intorno a lei, trova sí chi s’indigna, certo, ma anche chi la sostiene, chi ha paura di parlare e di esporsi, chi dice che risolveranno al loro interno.
Resta, da fuori, l’impressione che ci sia al potere chi per il potere venderebbe anche la propria madre, se è questo il trattamento riservato ad un esponente del proprio partito.
Troppo, e a dire che si è andati troppo oltre sono soprattutto gli avversari politici. Noi del Forum Romoli l’abbiamo sempre combattuto, riconoscendogli da avversari le doti del politico di razza, rispettandolo e ricevendo da lui rispetto nella quotidiana dialettica politica.
Per una volta stiamo dalla sua parte. Chissà se chi ha votato chi ha preso questa decisione si sente rappresentato. Forse sì, se magari chiuderebbe i porti contemplando con indifferenza la possibilità che qualcuno, debole, ci lasci la pelle. Forse no, perché non ha bisogno di identificarsi con chi per il potere perde di vista l’umanità. Andrea Picco
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