Tornando da Torino mi ha colpito la resistenza e la forza della città. In ginocchio dopo il brutale ridimensionamento della FIAT, impoverita dalla perdita di un indotto industriale importante che ruotava intorno alla grande fabbrica, ha dovuto reinventarsi un futuro. Così, sfruttando la sua bellezza, i suoi musei e i dintorni, si è lanciata nel turismo.
Sono sorti locali e localini, trattorie e venditori di cibi take away, talvolta improvvisati e privi di esperienza, ma che con l’aperitivo danno montagne di tartine e salatini, olive e stuzzichini per farti spendere quei 5 euro a testa. Adesso il ristoratore tutto contento aspetta la stagione. Mi è dispiaciuto dirgli che, su tutte le guide turistiche, Torino è sconsigliata in luglio e agosto perchè il caldo è davvero soffocante. Ma lui non si dà per vinto e guarda all’orizzonte spagnoli e francesi boccheggianti e famelici del suo apericena, mentre poco distante il libraio Comunardo, che da 42 anni presidia la libreria indipendente, chiede la firma per non soccombere al supermercato che vuole privarlo del suo posto e raccoglie migliaia e migliaia di adesioni.
Insomma quello che comunica la città è la voglia e la determinazione di resistere ad ogni costo alla crisi, inventando, cercando di fare, aprendo e chiudendo, ma senza darsi per vinti.
A Gorizia si parla dopo oltre 10 anni dell’ascensore al castello come volano dell’economia e i dati delle partenze dalla città, della disoccupazione e del calo demografico sono sotto gli occhi di tutti. Ma perchè, mi chiedo, amiamo così poco la nostra città? Perchè anche se vediamo che sarà occupata da nuovi e inutili centri commerciali e da supermercati lasciamo che tutto vada alla deriva?
I torinesi hanno cambiato la loro classe dirigente che da decenni governava la città e hanno eletto l’Appendino dei 5 Stelle. Vedremo come andrà, ma loro almeno hanno scelto e hanno scommesso sul futuro.
E noi? Discutiamo se è meglio Bini o Forza Italia e ci azzuffiamo in consiglio comunale non su idee diverse per lo sviluppo della città, ma sulla definizione di “terrone”. C’è qualcosa che non va a Gorizia, un male di vivere, un disamore e un disinteresse per la propria città da manuale di psicopatologia. adg
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