Centinaia di persone sono in un campo, sfiancate dal caldo di giorno, dal freddo la notte. Sono senza luce e senza alcun genere di servizi, eppure riescono ad accogliere i visitatori con un sorriso privo di diffidenza.
Vengono da molti paesi del Medio Oriente e attendono di passare in qualche modo il confine con la Croazia. Sono giovani e vecchi, anche famiglie, una di iraniani è composta da padre, madre incinta e tre figli.
Alcuni sono in viaggio da mesi, altri da anni e si sono fermati in questo imbuto oscuro, nel cuore dei Balcani, dove l’Oriente si incunea nell’Occidente.
La notte gruppi di marciatori, misteriosi e silenziosi, passano quasi correndo come colonna di fantasmi tra la gente abituata a tali scene. Si avvicinano al confine e si disperdono nei boschi. Tentano di raggiungere l’Eldorado, la Croazia dove quasi sempre vengono beccati e riportati indietro, nel migliore dei casi dopo aver assistito alla distruzione dei loro cellulari per impedire la guida della traccia gps.
Quelli che sono riusciti a passare oltre la Croazia, sono stati rispediti dalla Slovenia in Croazia e poi di nuovo in Bosnia (“siete musulmani? Tornate tra i musulmani”).
Per il resto d’Europa queste persone non esistono, dovrebbero essere nei lager di Erdogan. Per la gente di questo paese, sul confine tra Croazia e Bosnia, dove sono mescolati cattolici croati, serbi ortodossi e musulmani bosniaci, sono solo dei poveri che devono essere aiutati, con i pochi mezzi che la gente qua ha a disposizione.
I muezzin alternano il richiamo alla preghiera con quello lanciato dalle campane. Qualcuno si avvicina al campo per portare da mangiare.
Chissà dove sono finiti gli incolonnati della notte, saranno riusciti ad andare oltre?
Davvero, l’Europa si è fermata a Velika Kladuša, negli occhi tristi e sorridenti dei bambini sotto la tenda degli iraniani. AB
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