E’ stato un momento toccante quello vissuto oggi davanti al carcere di via Barzellini a Gorizia, soprattutto per una persona della mia generazione che i fatti non solo non li ha vissuti ma nemmeno studiati approfonditamente.
Grazie a un lavoro congiunto di Anpi e Aned è stata affissa e scoperta sulla facciata del carcere cittadino una targa in memoria degli antifascisti, donne e uomini, italiani e sloveni che si ribellarono alla mentalità gerarchica, repressiva, classista e autoritaria predominante in città e nell’intero Paese.
Riprendo con profonda ammirazione il discorso pronunciato dalla nostra Anna Di Gianantonio, presidente della sezione locale dell’Anpi:
L’Anpi è protagonista di un lungo percorso che ha avuto come tappe lo scoprimento della targa dedicata alla battaglia di Gorizia, prima battaglia partigiana italiana combattuta da operai italiani del cantiere navale, da sloveni e da reparti dell’esercito, il ricordo dei fucilati al Castello e oggi quello degli antifascisti che a centinaia sono stati rinchiusi nel carcere di via Barzelllini, molti dei quali successivamente deportati nei lager nazisti e uccisi sulla collina del Castello.
Non si hanno numeri precisi perché alla ricostruzione della storia di Gorizia mancano tasselli importanti e quella che noi leggiamo è spesso memorialistica di parte. La storia della città deve essere scritta ed è necessario essere obiettivi.
Negli anni passati parlare di ciò che era successo in città tra gli anni ’20 e ’40 avrebbe probabilmente messo in dubbio i pilastri ideologici e politici sui quali si è fondata la ricostruzione dopo la Seconda Guerra Mondiale. Pilastri fondati sul nazionalismo, per cui innocenti italiani erano vittime degli slavi; le dinamiche storiche, in realtà, furono più complesse perché qui viveva una popolazione mistilingue e il nazionalismo non era un fatto genetico ma fu spesso indotto e alimentato dall’azione politica nazionale e locale. Dinamiche che a Gorizia non hanno permesso di fare i conti con il fascismo e l’occupazione tedesca, con il collaborazionismo e la lunga discriminazione ai danni degli sloveni a cui per anni anche nel dopoguerra fu negato il riconoscimento della scuola, il bilinguismo e la restituzione dei beni espropriati dal regime.
Il nazionalismo ha creato miti politici e nascondimento di responsabilità e verità; sui monumenti eretti a metà anni ’60 le incisioni erano volutamente generiche, i martiri morti per una libertà e concetti vaghi senza che vi fosse scritto che le responsabilità per cui gli antifascisti erano stati uccisi, gli oppositori del regime avevano lottato contro un’oppressione, era un razzismo antislavo lungo 20 anni e che divenne un feroce parossismo di violenza durante la Seconda Guerra Mondiale.
La resistenza cominciò presto da parte degli sloveni di ogni credo politico e poi coinvolse gli italiani all’indomani dell’occupazione e dell’annessione di una parte consistente del regno di Jugoslavia.
Durante la resistenza si crearono e consolidarono rapporti tra antifascisti italiani, sloveni e croati che pur tra numerosi conflitti portano alla vittoria contro i nazifascisti. Questa lotta ebbe un prezzo elevato: morti, deportati, torturati nelle caserme, reclusi nelle carceri fasciste.
Il 23 novembre 1943 l’intera comunità ebraica della città discriminata già dal 1938 con le leggi razziali venne interamente deportata e solamente due persone tornarono.
La fine della guerra non significò il ritorno alla pace perchè non si volle riconoscere che la responsabilità dei lutti e delle violenze erano attribuibili alla politica del fascismo.
La guerra fredda che divise la città creò veramente una cortina di ferro e divise ancora italiani e sloveni, comunisti e democratici, buoni da cattivi.
La ricchezza e la complessità delle vite degli italiani e degli sloveni, la difficoltà di certe scelte, la riflessione sulla giusta rivendicazione dei diritti nazionali e il sorgere di negativi nazionalismi furono appiattiti nella logica nemico-amico che ha attraversato fino a pochi anni fa la vita della nostra città.
L’Anpi ha voluto andare contro corrente e ha lavorato sulla memoria di chi in città non aveva né voce ne riconoscimenti e i risultati dimostrano che la strada è quella giusta ma che molto rimane da fare a livello di analisi di documenti, di ricerca di dati, di raccolta di testimonianze compresa l’analisi dei registri del carcere che si stanno restaurando e che andranno studiati per restituire alla città numeri e nomi di vicende accadute tra il 1943 e il 1945.
Oggi i rapporti tra italiani e sloveni sono migliorati, siamo entrambi in Europa ma questo non significa che i problemi siano stati risolti. Il nazionalismo che abbiamo conosciuto nella nostra terra e per cui abbiamo pagato un prezzo elevato sta contagiando il continente mentre organizzazioni neofasciste possono tranquillamente aprire sedi e svolgere la loro attività politica.
La battaglia dell’Anpi è sempre attuale perché discriminazioni, razzismo, xenofobia, disuguaglianza e negazione di diritti umani sono temi ben presenti nella vita quotidiana e oggi come allora siamo in campo per combattere quelle idee che tanto male hanno fatto alla nostra comunità.
Un pensiero di ammirazione alle persone che dentro questo carcere tra mille privazioni con la paura di morire rimasero fedeli alle loro idee di liberà, di giustizia sociale e di democrazia che sono alla base del nostro vivere sociale.
Sta a noi il compito che il loro sacrifico non sia stato vano. ElSa.
La lettura di due testimonianze:
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