Cari compagni e amici,
questo di oggi è un momento molto importante, storico, e lo dico senza enfasi e senza retorica.
Lo celebriamo in questa piazza che simboleggia l’unione tra i nostri due stati e che ha visto la caduta dei muri che ci hanno diviso per tanti anni.
La mia generazione ha conosciuto cosa ha significato l’emarginazione della componente slovena dalla città di Gorizia. E’ stata una ferita profonda che ha segnato la vita di ciascuno di noi e la sua formazione.
Nelle scuole italiane non si è mai voluto insegnare, nemmeno a titolo opzionale, la lingua slovena, e dunque la cultura di questo popolo, a noi così vicino, ci è rimasta a lungo quasi sconosciuta. Ci sono voluti anni per conoscere, leggendoli in traduzione, i grandi poeti, gli scrittori e gli storici sloveni.
Certo la lingua la si può imparare anche in altro modo, ma io credo che l’insegnamento scolastico sia importantissimo.
Viviamo vicini, le nostre due città ormai sono unite da tanti progetti, la lingua è dunque una questione fondamentale che non può essere affidata alla volontà del singolo, ma il suo insegnamento deve essere frutto di una chiara scelta politica e culturale.
E’ infatti arrivato il momento che la storia degli italiani e degli sloveni inizi ad essere scritta in comune.
Questo territorio è stato abitato da popoli differenti, ma che lavoravano assieme, si sposavano, si divertivano, usando, a seconda dei contesti, l’una o l’altra lingua o, più di frequente, il dialetto. E’ ora che il territorio venga narrato a partire dall’unità dei suoi abitanti, dalla sua complessità etnica e linguistica e non dalle sue divisioni.
Le guerre, i nazionalismi, i fascismi hanno cercato di separare quello che conviveva e si mescolava e la storia ha descritto in modo settoriale quanto era accaduto.
Cosa sarebbe successo in questa zona se l’unità tra italiani e sloveni durante la Resistenza non ci fosse stata? Sarebbe stata molto più complicata la lotta, più difficile la ripresa di rapporti e del dialogo dopo vent’anni di fascismo.
Per fortuna ciò che contava per i partigiani non era solo la lingua: essi avevano un sentire comune, un desiderio di liberarsi dalle ingiustizie sociali, dal razzismo, dal conformismo, dall’oppressione e dalla violenza che il fascismo aveva utilizzato per reprimere gli italiani e gli sloveni contrari alla dittatura.
La politica di discriminazione degli sloveni non fu accettata da tutti gli italiani e i partiti comunisti e altri gruppi antifascisti come Giustizia e libertà compresero l’importanza della questione nazionale e dell’autodeterminazione dei popoli.
Nella lotta comune gli sloveni capirono che non tutti gli italiani erano fascisti: non lo erano nelle fabbriche, nelle carceri, nei luoghi di internamento, nella lotta per sopravvivere alla repressione dei nazisti, nella costruzione dell’Intendenza Montes, nelle formazioni partigiane, dove si combatteva fianco a fianco; dal canto loro gli italiani compresero che gli sloveni erano combattenti forti e generosi, validi ed esperti e più competenti, molto motivati a lottare perchè avevano subito una terribile aggressione che aveva smembrato il paese e affrontavano un conflitto senza esclusione di colpi che causò circa un milione di vittime.
La guerra, pur nella catastrofe che provocò, ebbe l’effetto di favorire un legame tra antifascisti sloveni ed italiani, accomunati da un desiderio di libertà e di un nuovo ordine sociale.
A Gorizia la fine della guerra non fu però il ritorno della pace. La guerra fredda e la rigida cortina di ferro non solo divise le comunità, ma diede una certa lettura degli avvenimenti, li tolse dal contesto, diede parola solo ai più nazionalisti.
L’ANPI ha lavorato perchè la memoria degli antifascisti, dei deportati, dei reclusi, degli italiani e degli sloveni che persero la vita al Castello avesse una presenza e una dignità nella storia cittadina.
Oggi il clima è cambiato radicalmente, i muri sono caduti quasi del tutto, ma c’è ancora da attuare una piena collaborazione. Bisogna intervenire assieme nelle scuole, bisogna fare progetti comuni, lavorare per una cultura condivisa. E la cultura deve avere come principi fondamentali il rispetto dei popoli, la curiosità di conoscere lingue diverse, la piena integrazione, il rifiuto di ogni forma di razzismo e di esclusione, la consapevolezza che davanti a sfide globali per il pianeta solo uniti in un’Europa diversa potremo vincere e vivere meglio.
Il ritorno ai nazionalismi, alle barriere che dividono i popoli alle nuove forme di fascismo sono un ritorno al passato che abbiamo già conosciuto e che non vogliamo più rivivere.
Ora è giunto il momento che italiani e sloveni affermino insieme il valore di quell’unità di intenti che è stata alla base della vittoria contro il nazifascismo e che sarà la premessa per un futuro più sicuro per le nuove generazioni.
Più unità significa infatti più possibilità per entrambi i popoli, più ricchezza, più peso politico del nostro territorio.
Oggi il nostro gemellaggio tra le due organizzazioni antifasciste significa che il patto di amicizia e di condivisione tra sloveni e italiani viene sancito definitivamente e sarà un patto che ci vedrà uniti per gli anni a venire nei comuni valori di libertà, giustizia sociale, pace e democrazia. adg
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