La morte per overdose di eroina della povera Alice, di 16 anni, nel cesso (perchè di quello si tratta) della stazione ferroviaria di Udine, il dolore del suo giovane fidanzato quindicenne, sconvolto per l’accaduto sono la dimostrazione chiara ed evidente che il problema di questi ragazzi non sono risolvibili con le telecamere, né con i cani antidroga fuori o dentro le scuole, né con i maggiori controlli.
La diffusione di droghe è talmente alta che uno se la può procurare dove vuole e iniettare in un qualsiasi e incontrollabile luogo.
Non sarà l’occhio, spesso cieco, della telecamera a dissuadere un ragazzo a farsi di ciò che vuole, a cominciare dallo smodato consumo di alcolici.
E’ un problema più vasto e più profondo che richiederebbe una domanda radicale alla società in cui viviamo, dove i giovani non solo non hanno lavoro, ma non hanno punti di riferimento, visioni complessive e critiche della società, spazi dove riunirsi per discutere, possibilità di agire in modo autonomo e progettare un futuro che non sia solo la ricerca del reddito o della specializzazione lavorativa.
Da giovani è importante avere strumenti per comprendere ciò che accade nel mondo, avere risposte credibili sul senso da dare alla propria esistenza.
Altrimenti c’è solo il consumo e lo stordimento che sono il sintomo del malessere e non la malattia.
Se vogliamo ricordare in modo efficace Franco Basaglia dovremmo cominciare a riflettere insieme su questo disagio complessivo con strumenti diversi che non siano quelli dell’ordine pubblico. adg
guai a parlare di droga nelle scuole, guai a parlarne in famiglia, guai guai guai, e poi, ti ritrovi con la droga in casa e non sai cosa fare, come reagire.
c’è bisogno di informazione, c’è bisogno di parlare, c’è bisogno di contatti umani e ponti fra generazioni. Far finta che non esista il problema non lo cancella, anzi.