Oggi, 1 dicembre, è la giornata mondiale di lotta all’AIDS. Come tutte “le giornate mondiali di”, è un campanello che suona in un susseguirsi di giornate qualunque, presi come siamo da impegni scadenze e bollette da pagare.
Serve a fermarsi un attimo, anche se il “problema” non ci tocca direttamente.
Per me, questa giornata non può che far riaffiorare ricordi, emozioni, lutti, vite riprese all’ultimo respiro.
A metà degli anni 90 a Pordenone l’AIDS aveva colpito molto duramente il gruppo di ragazzi che usavano sostanze stupefacenti e per me, obiettore di coscienza in servizio civile presso il Sert, ogni giorno era un giorno in contatto con la loro paura di morire.
Da lì, da quelle vite spezzate, è nata quella straordinaria esperienza che va sotto il nome di Ragazzi della Panchina.
Lì, in mezzo a quel dolore, è cambiata la mia vita. Custodisco nel profondo tutto quello che abbiamo vissuto, le persone speciali che ho incontrato, il loro attaccamento alla vita, che per alcuni purtroppo non è bastato ad arrivare a questo 1 dicembre.
La battaglia allora era contro il silenzio, la vergogna, l’emarginazione, i bicchieri di plastica al bar, i “guanti bianchi” perché infettivi, l’alone viola intorno al corpo della pubblicità.
Era una battaglia di dignità, perché la malattia nessuno se la cerca, e non può essere motivo di discriminazione.
Era una battaglia per la vita, anche e soprattutto vita di relazione, in cui i gesti d’affetto, un bacio un abbraccio, sembravano preclusi dalla paura del contagio, e c’è voluto molto tempo per far comprendere che il virus non si trasmette così.
Molto tempo e, soprattutto, molto coraggio da parte di chi si è esposto in prima persona,ci ha messo la faccia, in una città dove tutti si conoscono e il dito è sempre puntato.
Ecco, per me il 1 dicembre non è mai un giorno qualunque. È il mio giorno del ringraziamento: grazie, Ragazzi della Panchina, per quello che mi avete dato, per quello che abbiamo fatto e che continuate a fare. Di AIDS si parla solo in questa data. Ma aveva ragione Keith Haring: ignorance=fear, silence=death. AP
Rispondi