Buon giorno a tutte e tutti, dober dan vsem skupaj, bundì a duc’s. Vi ringrazio di cuore per l’invito a parlare in questa solenne occasione e saluto con particolare emozione coloro che hanno vissuto la tragedia della deportazione personalmente o attraverso i ricordi dei familiari.
Zahvaljujem se tudi združenjema ANED in ANPI, saj se je pomembno spominjati tega, kar se je dogajalo v Auschwitzu, Dachavu, Bergen Belsnu, Tržaški rižarni in tako dalje. Nočemo samo formalnega spominjanja, kot v primerih, ko so vsi eno ali dvominutni govori le slogani izpraznjeni pomena. Tukaj, na tem mestu, lahko razmišljamo o preteklosti, sedanjosti in prihodnosti.
Anche quest’anno celebriamo la Giornata della Memoria, nel ricordo della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, da parte dell’Armata Rossa, il 27 gennaio 1945. Un pensiero vada anzitutto ai milioni di esseri umani che hanno perso la vita nell’immane tragedia nazista. E un pensiero ai sopravvissuti, grazie ai quali possiamo ancora ricordare e non vergognarci di ciò che è accaduto.
Tudi letos obeležujemo ta Dan spomina, pa vendar ni bilo vedno tako: v Italiji proslavljamo ta dan šele od leta 2000 (dva tisoč), v Evropski skupnosti pa od leta 2005 (dva tisočpet). Do takrat ni bilo ravno preprosto govoriti o tem, nasprotno, prevelika je bila bojazen, da bi zadevali ob občutljive točke.
Nezaupanje in sumnjičavost javnosti do preživelih grozot koncentracijskih taborišč je bilo tolikšno, da so se pravzaprav žrtve počutile, kot bi bile one krive, zato so ti preživeli pogosto pripovedovali, da jim je bil skorajda ljubši večdesetletni molk; kar je nedopustno.
Lo celebriamo anche quest’anno, ma non lo si è celebrato sempre. E’ soltanto dall’anno 2000 che questa giornata viene solennizzata in Italia e solo dal 2005 nell’Unione Europea. Prima non era così semplice parlarne, anzi, c’era un timore profondo di urtare molte suscettibilità. Gli stessi sopravvissuti hanno spesso raccontato di aver preferito un pluridecennale silenzio, sentendosi quasi giudicati o comunque guardati con scetticismo.
Celo tako izjemen dogodek, kot je bil Vatikanski koncil, v dokumentu o odnosih med krščanstvom in drugimi verstvi, iz leta 1965 (tisoč devetsto petinšestdeset), seveda omenja židovsko vprašanje, a samo površno obsoja tudi versko nasilje, ne da bi jasno omenjal rasizem.
Perfino un momento straordinario come il Concilio Vaticano II, nel documento sulla relazione tra cristianesimo e religioni del 1965 – solo venti anni dopo gli eventi – cita ovviamente l’ebraismo e condanna solo genericamente, senza alcun riferimento esplicito al razzismo, la violenza dovuta a motivi religiosi.
Oggi tutti celebrano la Giornata della Memoria, nessuno si sogna di non condannare il male assoluto, si moltiplicano in questi giorni le prese di posizione, i film, le discussioni.
Tutte hanno come motivo conduttore lo slogan “mai più”, ma questa tardiva unanimità di giudizio, insieme alla soddisfazione per una maggior conoscenza, suscita anche qualche perplessità. Spesso si ha la sensazione di una retorica generalizzata, nella quale la ricerca delle cause e dei responsabili sembra essere soffocata da chi grida più forte il suo personale “mai più”.
In Italia, in particolare, si è purtroppo caduti nella tentazione di mettere sullo stesso piano tragedie che hanno motivazioni storiche molto diverse fra loro, contribuendo così a rendere meno intenso il valore della memoria. L’istituzione – con voto quasi unanime – nel 2004, da parte del Parlamento italiano, della Giornata del Ricordo, collocata due settimane dopo la commemorazione del 27 gennaio, è sembrata più una triste par condicio che un giusto invito ad affrontare, con compassione per le vittime e rispetto delle acquisizioni storiografiche, un’altra vicenda di tutt’altro e diverso significato storico. Non a caso il 10 febbraio è occasione per riversare sulla gente un altro fiume di discorsi, film privi di qualsiasi valore storiografico come quello che verrà presentato quest’anno su Rai2, dubbi documentari, interviste e stracciamenti di vesti. Tutto ciò ha portato a confondere i fatti, quasi collocandoli, nel giudizio storico, sullo stesso piano e trasformando il giusto ricordo in occasione perrinfocolare antiche e nuove polemiche. Intendiamoci: non si vuole affatto sminuire la gravità degli avvenimenti, né mancare di rispetto alle vittime, spesso innocenti e trascinate insensatamente nel vortice di una violenza incontrollata. Tuttavia non si possono equiparare – dal punto di vista della lettura storica, non certo dell’onore dovuto a ogni essere umano in quanto tale. Da una parte facciamo memoria di un massacro sistematico – e totalmente privo di motivazioni ancorché assurde, se non quelle false scandalosamente ripetute in questi giorni da un Senatore della Repubblica Italiana – di sei milioni di ebrei, di centinaia di migliaia di rom, di omosessuali, di Testimoni di Geova, di oppositori del nazismo – e del fascismo, non dimentichiamolo mai! – tutte vittime inermi di ideologie perverse, ma capaci di contaminare due popoli ricchi di storia e cultura come quello tedesco e quello italiano. Dall’altra un complesso – violenza non giustificabile ma non immotivata – e ben più limitato “regolamento di conti politico”, ultima tragica scena di una terribile guerra voluta da Hitler, Mussolini e dai loro seguaci tedeschi e italiani, questi ultimi in gran massa accorsi e inneggianti alla proclamazione delle leggi razziali in Piazza Unità a Trieste nel 1938 e all’annuncio dell’entrata in guerra, in Piazza Venezia a Roma, il 10 giugno 1940.
Če ne bi bilo deportirancev, teh velikih in častnih prič strahot, in partizanov – razžaljenih, ki se jim v današnjih dneh onemogoča celo organizirati dan, kot je današnji. Če ne bi bilo torej njih, danes ne bi mogli pogumno dvigniti glav pred spomenikom, v katerem so, kot še vedno krvaveče rane, vtisnjena imena koncentracijskih taborišč Nemčije, Avstrije, Poljske in Italije.
E se non ci fossero stati i deportati – grandi e dignitosi testimoni dell’orrore – e i partigiani – oggi vituperati e impediti perfino di organizzare giornate come questa – oggi non avremmo neppure il coraggio di alzare la testa davanti a questo monumento che porta impressi come ferite ancora sanguinanti i nomi dei campi di sterminio in Germania, Austria, Polonia e Italia.
Come fare allora perché quel “mai più” non si limiti a un inutile mantra ossessivamente ripetuto?
Come fare, quando si è tuttora incapaci di fare i conti con il proprio passato? Un passato che per noi ha significato unire all’essere italiani l’aggettivo di fascisti, capaci di azioni efferate e disumane in Libia e in Abissinia, protagonisti o comunque complici di deportazioni di ebrei – come non ricordare la cancellazione dell’importantissima comunità ebraica di Gorizia (il 23 novembre 1943 furono deportate 78m persone – tra le quali Bruno Farber di tre mesi e solo due ritornarono)? – e di atti di grande violenza, nei confronti degli sloveni, prima della guerra impediti perfino di parlare la propria lingua – ricordiamo i cinque fucilati di Basovizza, dopo il primo processo di Trieste nel 1929 – , costretti a cambiare i cognomi e durante la guerra vittime di rastrellamenti, fucilazioni di gruppo, incendio di interi paesi e deportazioni nei campi di Zdravščina, Gonars, Visco, Borovnica e tanti altri. Un passato che si vorrebbe ancora dimenticare, non soltanto perché tanti gerarchi della Repubblica di Salò sono stati riciclati da subito nei centri di Potere, ma anche perché i reduci della battaglie fasciste sono ancora sdoganati e accolti dalle amministrazioni come quella di Gorizia, con la fascia tricolore che secondo la Legge dovrebbe essere indossata solo dal sindaco “nelle occasioni pubbliche ufficiali” e mai “per partecipare come sindaco a manifestazioni di parte”. Come se nei Comuni della Germania si accogliessero solennemente i reduci delle SS o i secondini del campo di Auschwitz.
Perché il “mai più” non sia solo un pio auspicio se non una corale autoassoluzione, oltre che fare una volta per tutte i conti con il proprio passato, occorre anche fare i conti con il presente e riconoscere che – oltre ai massacri che hanno costellato il resto del XX secolo (pomislimo na korejsko in vietnamsko vojno, na desaparesidose v Južni Ameriki, izbrisu miljonov pozabljenih v Ruandi, Južnem Sudanu, Kongu, na vojno v sredi Evrope, pomislimo na Srebrenico in takoimenovano etnično čiščenje na Balkanu v zadnjem desetletju dvajsetega stoletja, na neokapitalistično nasilje, na takoimenovano islamsko državo…) (si pensi alle guerre della Corea e del Vietnam, ai desaparecidos nelle dittature neofasciste dell’America del Sud, alla cancellazione di milioni di vite nelle guerre africane dimenticate del Ruanda, del Sud Sudan, del Congo, alle guerre nel cuore dell’Europa a Srebrenica e alle cosiddette pulizie etniche nei Balcani dell’ultimo decennio del XX secolo, alle violenze del neocapitalismo e a quelle del cosiddetto stato islamico…) e alla fame che è cresciuta esponenzialmente in ogni angolo impoverito del Pianeta – quello che sta accadendo sotto i nostri occhi è la riesumazione di un linguaggio troppo simile a quello usato negli anni ’30 dai nazisti e dai fascisti per non pensare che quel “mai più” possa trasformarsi anche troppo rapidamente in un “ancora una volta”.
Le migliaia di morti nel Mar Mediterraneo e nelle sabbie del deserto del Sahara, la vergognosa chiusura dei porti e il rifiuto di aiutare chi rischia il naufragio, il rigetto dei poveri nei campi di concentramento libici, la svendita delle ragioni della democrazia nell’alto prezzo pagato alla Turchia per costringere i migranti in condizioni spaventose, la condizione di costrizione delle vittime della rotta balcanica, rinchiusi tra le reti dei campi di Lesbo e gli edifici stracolmi di esseri umani di Bihac e Velika Kladusa in Bosnia… Tutto ciò ci offre un quadro desolante della situazione dell’Italia e dell’Europa del XXI secolo, là dove le espressioni razziste “prima gli italiani” o “difendiamo la nostra cultura”, vengono giustificate addirittura con l’imposizione e la difesa a oltranza del presepio o del crocifisso – dichiarati “simboli di appartenenza culturale” – nei luoghi pubblici.
Fare memoria e ricordare significa oggi allora:
- Rifiutare ogni logica razzista, neofascista e neonazista, non democratica perché è questa logica della violenza quella che ha condotto il mondo alla seconda guerra mondiale, con tutto ciò che essa ha comportato, comprese la Shoah, le città rase la suolo, le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, l’esodo dall’Istria e le vendette dell’immediato dopoguerra…
- Sostenere la libera circolazione delle persone, la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il dettato della Costituzione Repubblicana italiana, la dignità e l’uguaglianza di diritto che compete a ogni essere umano che vive sulla Terra.
Zavzemati se za enakopravnejšo, pravičnejšo in solidarnejšo Evropo, ki bo sposobna podpirati sodelovanje in partnerstva z najrevnejšimi državami sveta in bo zagotavljala pravico do gibanja, ne zaradi nuje, marveč iz zavestne odločitve, da bi bilo med narodi in ljudstvi več stikov in poznavanja. - Impegnarsi per costruire un’Europa più equa, giusta e solidale, in grado di sostenere la cooperazione e il partenariato con i Paesi più poveri del mondo, in modo da poter garantire a tutti il diritto di spostarsi non per necessità ma per convinta scelta di conoscenza e di relazione tra i popoli e le Nazioni.
- Predlagati Združenim narodom take spremembe, ki bi presegle težave zdajšnjih intervencij, da bi poiskali nek sistem odločanja, ki bi bil res demokratičen in namenjen ustvarjanju in ohranjanju miru in pravičnosti na celem svetu. Pri tem pa bi ob globalnem povezovanju cenili različnosti in posebnosti, ki človeštvo delajo tako očarljivo in raznoliko.
- Proporre una riforma delle Nazioni Unite, per superare la difficoltà di intervento attuale, attraverso la ricerca di un sistema decisionale autenticamente democratico, finalizzato alla costruzione e al mantenimento della pace e della giustizia nel mondo intero, secondo una logica da una parte mondialista, dall’altra in grado di valorizzare le specificità e le diversità che rendono varia e affascinante l’umanità.
- Individuare e combattere gli interessi economici che mirano all’arricchimento di pochi e alla distruzione sistematica dell’ambiente vitale, cominciando dalla tutela dell’ecosistema legato al nostro bellissimo Isonzo, minacciato da un’industrializzazione selvaggia che porta sulle sue rive inquinamento, crescita dei tassi di malattia anche grave, rovina di uno degli ambienti riconosciuti tra i più belli dell’intero Continente europeo. Per dirla con un’ultima parola, occorre impegnarsi e lottare tutti insieme per la costruzione della giustizia, della pace duratura fondata sulla nonviolenza, della valorizzazione di quell’unità nella bellezza della diversità – delle lingue, delle culture, delle visioni religiose e filosofiche – che la nostra terra, per tanti anni insanguinata dai nazionalismi e dai fascismi, potrebbe oggi invece proporre, come testimonianza attiva di accoglienza e solidarietà con tutti, soprattutto con i più poveri e con i più deboli. Vsa čast deportirancem, ki so izgubili življenja v koncentracijskih taboriščih in naj spomin nanje postane naša naloga in odgovornost. Onore ai deportati che hanno perso la vita nei campi di sterminio, che la memoria diventi per tutti noi impegno e responsabilità. Andrea Bellavite
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