Noi ci dobbiamo ribellare, diceva Peppino Impastato al fratello, in una celebre scena del film I cento passi. È una frase di grande forza, perché presuppone la necessità di un atto di coraggio da parte di qualcuno per porre fine a una situazione sentita come ingiusta, lesiva dei propri diritti più profondi.
Lì era la mafia, il soggetto contro cui ribellarsi era un dovere, e di coraggio per farlo bisognava averne infinito. Peppino è in quanto senso un moderno eroe tragico.
Questo tema dell’ingiustizia è però un termometro importante per capire la temperatura sociale odierna. La misura è colma già da un po’ e, ingoia oggi ingoia domani, finalmente qualcuno ha detto basta anche all’interno delle istituzioni.
Significativo che siano alcuni sindaci a prendere posizione, nel loro ruolo di rappresentanti di tutti i cittadini e quindi di comunità. Ribellarsi è anche per loro un dovere, e dovrebbe essere così sempre, in presenza di soprusi, proprio perché la tutela della comunità e del bene pubblico dovrebbe essere la stella che illumina la via dell’amministrazione, l’imprescindibile condizione della sua attività.
Se, per fare un esempio, ti portano via l’azienda sanitaria, dovresti ribellarti. Se, sulla scia, sparirai come capoluogo, dovresti ribellarti. Se, sempre per esempio, qualche imprenditore vuole speculare per i propri affari e insediare industrie insalubri nel tuo territorio, dovresti ribellarti anziché assecondarlo. Proprio perché a rimetterci sono tutti e tu puoi impedirlo, lo devi fare.
Devi avere il coraggio di farlo, anche forzando la legge. Perché la legge è sovente strumento di potere, non sempre di giustizia. AP
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