Quando ero giovane io, non era elegante fumare per strada o leccare il gelato: potevano essere interpretati come allusioni sessuali e la mamma metteva in guardia sui comportamenti che i maschi avrebbero potuto avere di conseguenza.
Eppure, anche attenendosi alle regole, le donne della mia generazione non hanno evitato commenti pesanti, sguardi insistenti o vere e proprie manifestazioni di esibizionismo. Era un clima in cui dovevi controllare la lunghezza delle gonne, badare a non dire parolacce, a non guardare un uomo troppo a lungo negli occhi, a non tornare tardi la sera, a non viaggiare da sola, a non parlare a voce troppo alta, a non ridere perché eri sguaiata.
Con gli anni ’70 tutto è cambiato e non è un caso che le donne abbiano gridato “io sono mia”, dicendo che da allora in poi avrebbero fatto ciò che volevano, alla faccia dei benpensanti e dei futuribili matrimoni.
Purtroppo per il pensiero patriarcale la donna è essenzialmente corpo, non mente: è prima di tutto bella o brutta, seducente o no, e solo dopo brava, intelligente, premio Nobel. La donna non si libera dalla schiavitù del corpo anche se si veste da suora o con il burka.
Se la donna è corpo e basta, l’uomo con la quinta elementare può permettersi di giudicare la Levi Montalcini, perchè il giudizio estetico sarà sempre sovradeterminato a quello intellettuale.
Negli anni ’70, grazie a lotte molto dure, le donne hanno capito che dovevano essere unite per cercare di sconfiggere il pensiero dominante che le divideva secondo criteri maschili in buone e cattive, madri e puttane, sante e zoccole.
Per questo – cari signori – si è stabilita una regola: anche se una donna è ubriaca o strafatta, con la minigonna e scollata, anche se batte il marciapiede, canta ad alta voce, anche se è antipatica, fascista o comunista, non la si tocca.
La frase “se l’è cercata” è bandita per sempre dal discorso pubblico, perchè nulla giustifica il passaggio all’atto che il maschio si sente autorizzato a fare.
Le vignette apparse sulla rivista monfalconese e che attaccano Ilaria Cecot e Elisabetta Maccarini sono inaccettabili, frutto di quell’umorismo aggressivo da caserma o da luogo chiuso maschile, dove la pesantezza e la grevità della risata la si fa sulle parti del corpo femminile.
Qui politica e satira non c’entrano nulla. C’entra quella regressione maschile che legge il mondo sulla base dei centimetri, delle taglie, dell’anatomia, metri di misura della realtà e della politica francamente insufficienti e che comunque noi non accettiamo.Sapevatelo. Anna Di Gianantonio
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