Forse molti non sanno che fino all’inizio del 1900 l’Italia era il secondo produttore mondiale di Canapa, subito dopo l’India. Era utilizzata principalmente per la produzione di cordame per le navi.
Le ragioni della crisi che ha colpito questa pianta in Occidente sono diverse, alcune legate ad un aumento dell’offerta conseguente alla colonizzazione dell’India da parte degli inglesi, che rese altresì più economiche altre fibre come il cotone.
Esistono, tuttavia, anche ragioni di “interesse”che partono da lontano, dagli Stati Uniti d’America negli anni ’30.
I nascenti gruppi industriali americani puntavano soprattutto allo sfruttamento del petrolio per l’energia (Standard Oil – Rockefeller), delle risorse boschive per la carta (editore Hearst), e delle fibre artificiali per l’abbigliamento (Dupont) – tutti settori nei quali avevano investito grandi quantità di denaro. Avevano di fronte questo avversario potentissimo, la canapa, e si unirono così per formare un’alleanza sufficientemente forte per batterlo attraverso l’arma dell’illegalità. Partì quindi un’operazione mediatica di demonizzazione, rapida, estesa ed efficace (“droga del diavolo”), grazie agli stessi giornali di Hearst, il quale ne aveva uno praticamente in ogni grande città.
Egli, con le sue idee conservatrici ed anche razziste, è considerato il padre della stampa scandalistica con cui riuscì a convincere gli Americani e lo stesso Presidente Roosvelt che la cannabis sativa andava proibita e rigorosamente regolamentata la canapa industriale. Era l’epoca di una serie di conflitti tra USA e Messico e come sappiamo, oggi come allora dare un nome “nemico” a qualcosa, immediatamente suscita odio e reazioni forti. I messicani erano i nemici e dunque la storia del consumo di marijuana era utile alla sua tesi.
La condanna morale viaggiava rapida e incontrastata da costa a costa (non c’era la controinformazione!), e di lì a far varare una legge che mettesse la cannabis fuori legge fu un gioco da ragazzi: il “Marijuana Tax Act” del 1937.
Un’altra storia attribuisce l’inizio della proibizione della cannabis al periodo in cui Henry Ford sviluppò un prototipo di auto chiamata Hemp Body Car, che si alimentava a biocomubistibile fatto a partire dalla canapa. Si dice che ci fu un boicottaggio delle aziende petrolifere che per non perdere guadagni di fronte ad un’alternativa molto più pulita e facile da ottenere, come la canapa, avrebbero fatto lavoro pressante di lobbying ed sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
Qualsiasi siano state le ragioni alla base del proibizionismo, oggi si registrano diversi tentativi di creare in Italia una filiera della canapa. Tutte le piante utilizzate per la filiera agricola e industriale della canapa ovviamente sono specie selezionate per non avere nessun effetto psicoattivo.
In Italia, soprattutto su modello Svizzero, il lancio sul mercato di prodotti ricavati da infiorescenze con un contenuto di THC inferiore allo 0,2% è iniziato nel 2017 ed ha avviato una stagione economicamente positiva per chi coltiva canapa.
Le varietà chiamate Light pur non possedendo dosi psicoattive di Tetraidrocannabidiolo, cioè il THC, hanno dosi elevate di CBD, il cannabidiolo, che pur non avendo effetti diretti sui recettori neurali (cioè non si comporta come una droga) ha grandissimi effetti sul benessere psicofisico, tanto che da renderlo ormai richiestissimo sul mercato.
Nel corso del convegno di sabato si parlerà proprio della canapa senza THC, dei suoi effetti benefici e dei numerosi impieghi in vari settori. Eleonora Sartori
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