Aperto da Ziberna e chiuso da Oreti, il convegno su “Cultura e turismo a Gorizia e dintorni”, tenutosi lo scorso 10 giugno alla fondazione CaRiGo, ci ha lasciato molto perplessi.
Già dalla lettura del programma balzava agli occhi l’assenza (casuale?) delle tre principali istituzioni culturali presenti in città, ovvero le Università di Trieste e di Udine e l’Ente Regionale per il Patrimonio Culturale. Un convegno, quindi, nato zoppo di almeno tre gambe.
Nel suo intervento di apertura il Sindaco, oltre a richiamare i soliti mantra (castello, Calvario, palazzo Paternolli…), ha annunciato la creazione di un non meglio precisato “museo del vino” in Borgo Castello, nell’ex sede della provincia e poi di Erpac, ovvero nell’ormai definitivamente defunta “Lanterna d’oro” (mentre fino a ieri parlava di una scuola di enologia destinata ai cinesi). Sempre Ziberna ci ha comunicato che quello che considera il più importante evento “culturale” cittadino, ovvero “Gusti di frontiera”, costituisce non una fonte di reddito bensì un costo considerevole per l’amministrazione, ovvero per la collettività (100.000 euro solo per la sicurezza), vantando al contempo la mancata applicazione dell’addizionale Irpef, che potrebbe portare nelle casse del Comune circa 4 milioni di euro. Un “tesoretto”, a costituire il quale contribuirebbero, com’è ovvio, principalmente i cittadini più benestanti, che sarebbe possibile utilizzare in molti modi, dal welfare a investimenti in cultura, appunto, generando potenzialmente, secondo le statistiche più aggiornate, 7 volte tanto, ovvero 28 milioni di euro.
A seguire è intervenuto il rappresentante di Promoturismo FVG il quale, pur ritenendo superato il concetto di “rete”, ritiene indispensabile una regia e un coordinamento regionale delle iniziative. Curioso il fatto che abbia citato il caso di Erto in negativo, in quanto collocato in posizione marginale. Dimenticando così che proprio a Erto, o meglio nel comune di Erto e Casso, è presente dal 2012 una delle realtà regionali più innovative in campo culturale, ovvero quella di “Dolomiti contemporanee. Laboratorio di arti visive in ambiente”, ideato dal bravissimo Gianluca d’Incà Levis, oggi chiamato quale consulente da moltissime amministrazioni locali, di tutta Italia, in quanto è stato in grado in pochi anni di riattivare straordinari luoghi dimenticati, tra i quali il villaggio Eni di Borca di Cadore e l’ex cartiera di Vas.


È poi stata la volta della presentazione della candidatura a sito Unesco del Collio-Brda (più Brda che Collio per la verità), per la quale è imminente la creazione di una Associazione Temporanea di Scopo, che potrebbe teoricamente portare, se approvata, a un aumento del 20% delle presenze turistiche. Sul tema, alle cronache da ormai almeno tre anni, mi sono venute in mente due cose.
La prima riguarda il caratteristico paesaggio terrazzato, più volte evocato, che però corrisponde a una trasformazione recente, a fini meramente commerciali, che ha portato quest’area verso una monocultura, mentre in un recente passato il collio goriziano presentava un paesaggio molto più ricco e vario, con alternanza di boschi, pascoli, prati stabili, arativi, frutteti, terreni incolti e acquitrini.
E pensare che la tipica ribolla gialla, il mio vino preferito nella sua versione macerata, viene ora spumantizzata per fare concorrenza al più diffuso prosecco. Una vera “bestemmia” enologica, quasi come la candidatura Unesco del Collio-Brda: un territorio trasformato in pochi decenni a causa della presenza dei vitigni, passati da coltura diffusa, ma integrata con altri paesaggi, a coltura dominante ed esclusiva (alla faccia della tanto decantata, ma solo a parole, biodiversità).
La seconda suggestione viene da un testo di Erri de Luca, che a proposito del centro storico di Napoli, sito Unesco dal 1995, racconta ironicamente come continui a mancare il segno della reciprocità, in quanto Napoli non avrebbe mai riconosciuto l’Unesco!
È poi intervenuto il rappresentante della Grado Impianti Turistici, un imprenditore che, parlando di turismo scolastico e congressuale, ci ha spiegato in che modo si possano usare le poesie di Ungaretti per pubblicizzare un territorio; come non si debbano trascurare i congressisti al pari delle mogli (altrimenti non tornano), e che la rete tra i diversi operatori può servire a decidere dove comprare il sapone a un prezzo più conveniente.
Il direttore della Fondazione Aquileia ci ha poi ricordato che da marzo 2018, per la prima volta nella sua storia millenaria, l’ingresso alla Basilica è a pagamento (da 3 fino a 10 euro per il percorso completo), mentre è previsto a breve il passaggio del polo museale di Aquileia dal Ministero per i beni e le attività culturali (che ha perso le competenze sul turismo dal 12 luglio 2018, ma evidentemente qualche relatore sembra non saperlo) alla Fondazione Aquileia, il cui statuto è stato di recente rinnovato (per la precisione l’11 luglio 2018, casualmente il giorno prima della modifica relativa al Ministero competente nonché socio fondatore della stessa).
A tal proposito è forse utile qui ricordare le motivazioni relative al cambio di competenze dei ministeri, relativamente al settore turistico. Così recita la premessa alla legge 97/2018: “Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di procedere al riordino delle attribuzioni in materia di turismo, concentrando le relative funzioni nell’ambito del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, al fine di favorire una politica integrata di valorizzazione del Made in Italy e di promozione coerente e sostenibile del Sistema Italia…”.
Dunque da circa un anno le competenze su cultura e turismo sono state fortunatamente attribuite a due diversi dicasteri, dopo la sciagurata “fusione” avvenuta nel 2013, durante il governo Letta.
L’ultimo intervento è stato quello dell’assessore alla cultura Oreti (da molti considerato un ossimoro), il quale ha preannunciato solennemente che, ormai giunto a metà mandato, si metterà al lavoro per realizzare il biglietto unico di accesso al castello e ai vicini musei provinciali. Non è parso fortunato (per ragioni di scaramanzia) il successivo parallelo tra le celebrazioni del centenario della Prima Guerra Mondiale (da tutti considerata un’occasione perduta per Gorizia) e la canditura di Nova Gorica a capitale europea della cultura, da presentare entro il prossimo novembre. Se pensiamo che la scadenza per i contributi comunali alle iniziative culturali era il 31 gennaio e che a oggi ancora nulla è dato sapere sui progetti finanziati, ci pare difficile che entro cinque mesi (con agosto di mezzo) possano essere valutate e valorizzate le oltre 100 (secondo la dichiarazione dell’assessore) proposte progettuali pervenute in risposta al bando del Comune per la manifestazione “GO!2025 Capitale Europea della Cultura”. Ma siamo certi, o quasi, che saremo smentiti dai fatti.
Infine i 7 minuti residuali, che sono stati riservati agli interventi del pubblico presente (unica consolazione proprio la scarsa partecipazione, con solo 29 presenti in sala, me compreso), ci hanno convinto a rinunciare a interloquire con gli organizzatori e i relatori, e a scriverne qui.
Se poi volete una cronaca fedele, in tutti i sensi, del convegno, potete sempre leggere l’articolo di Marco Bisiach su “Il piccolo” del 12 giugno.
In conclusione vorrei lanciare un appello, agli organizzatori del convegno, ai tanti illustri promotori e patrocinatori, ai relatori: piantiamola per cortesia con questa visione unilaterale, che considera la cultura solo come ancella del turismo, visione superata, come detto, anche dall’attuale riorganizzazione ministeriale. Tale visione può portare solo a dei disastri, come il caso di Venezia, purtroppo certamente non unico, ci insegna.
Consideriamo, per favore, la Cultura in primo luogo per quello che è sempre stata, ovvero un derivato dal verbo latino colere, “coltivare”, termine poi esteso a quei comportamenti che imponevano una “cura verso gli dei”, da cui il termine “culto”, e a indicare anche, semplicemente, un insieme di conoscenze. E la stessa Unesco, più volte evocata nel corso del convegno (ma la cui credibilità viene ormai, e da più parti, messa in discussione), considera la cultura come “una serie di caratteristiche specifiche di una società o di un gruppo sociale in termini spirituali, materiali, intellettuali o emozionali”.
E se, dunque, cultura e coltura hanno la stessa origine, quali elementi tipici e caratterizzanti del fare umano (come ci insegna la permacultura, parola che deriva proprio dalla contrazione dei termini “agricoltura” e “cultura” permanente), cerchiamo di favorire questo “fare”, contrastando la fuga dei giovani da Gorizia e dintorni, pensando alla Cultura quale attività essenziale per la nostra crescita, alla sua produzione, diffusione e promozione, prima e al di là di possibili ricadute (peraltro ovvie e scontate) sull’industria del turismo. Ricordando nuovamente che un euro investito in cultura ne frutta almeno sette (con buona pace di chi sosteneva, anche recentemente, che di cultura non si mangia).


Chiudo citando Antonio Gramsci, le cui parole dominavano ai miei tempi di studente l’aula magna dell’Università Iuav di Venezia, e che oggi non ricorda più nessuno: Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza. Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza.
Sì, studiate!
E vista l’immagine presente nell’invito al convegno, ricordo infine anche le parole di Michelstaedter: “Io lo so che parlo perché parlo ma che non persuaderò nessuno”.
Sergio Pratali Maffei
presidente aps agorè
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