Per comprendere bene ciò che è successo a Peteano nell’attentato del 31 maggio 1972 ricordiamo brevemente ciò che avvenne in quegli anni, durante la cosiddetta strategia della tensione. Ci focalizziamo sull’avvenimento più dirompente di quel periodo che fu la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 dove tutti gli elementi della strategia della tensione erano presenti.
Gli anni 70 sono un po’ spariti dalla memoria, sia perchè definiti anni di piombo e schiacciati sulla tragedia dell’omicidio di Aldo Moro, sia perchè di quel periodo si ricordano singole stragi, singoli episodi senza mettere in evidenza la trama complessiva che lega quegli avvenimenti. Dopo tanti anni molti ancora pensano che si sia trattato di uno scontro estremo tra formazioni della sinistra extra parlamentare e formazioni neo fasciste aiutate da un pezzo dei servizi segreti che avevano connivenze oltre oceano.
In realtà gli ultimi studi, e mi riferisco a quelli di Davide Conti, Aldo Giannulli, Mirco Dondi dicono cose diverse. E cose diverse vengono dette da un testimone eccellente della strage di Peteano, Vincenzo Vinciguerra che di essa fu reo confesso.
Intanto la cronologia.Possiamo dividere la storia in due fasi, quella che parte a metà degli anni 60 e arriva alla metà degli anni 70 e quella che va dalla metà degli anni 70 agli anni 80. Le cose cambiano molto: cambia il contesto internazionale, cambia la consapevolezza civile, cambia l’atteggiamento del PCI che dalla prima fase in cui accusa le istituzioni e teme davvero che avvenga il colpo di stato, passa poi, a metà degli anni 70 e pensando di poter entrare in modo stabile nel governo a modificare la lettura degli anni precedenti e parla di servizi deviati, di pezzi dello stato,infedeli ecc. e questa lettura si sedimenta nell’opinione pubblica. Escono di scena anche alcuni politici determinanti della prima fase. Antonio Segni, presidente della Repubblica dal 1962 al 64, Giuseppe Saragat, presidente della Repubblica dal 1964 al 71 e Mariano Rumor per cinque volte presidente del consiglio dal 1968 al 1974.
Centrale è dunque il periodo che va dalla metà degli anni 60 alla metà degli anni 70, quando la preoccupazione per la situazione politica italiana da parte degli Stati Uniti trova il suo apice e richiede un tipo particolare di intervento che sarà ripetuto con un copione simile, anche per la strage di via Fatebenefratelli a Milano nel 1973 fatta da Gianfranco Bertoli, quella di piazza della Loggia a Brescia del 1974 e quella dell’Italicus dello stesso anno, mentre l’episodio di Peteano è a se stante.
Intanto vediamo l’entità di quanto accadde in quel decennio. Dal 1960 al 1976 ci sono state 10 stragi, circa 1500 attentati, quasi 4000 morti oltre 35.000 feriti. Come afferma Giannuli sono i numeri di una guerra civile a bassa intensità o di una guerra civile fredda. A questo quadro vanno aggiunti quattro tentativi di colpo di stato: il piano Solo del generale Giovanni de Lorenzo del 1964, il golpe Borghese del 1970, il golpe della Rosa dei Venti del 1973, il golpe di Edgardo Sogno nel 1974,
Cosa determina questa situazione? Molto schematicamente all’inizio l’avvento del centro sinistra in un paese che a causa della guerra fredda deve rimanere sotto lo stretto controllo Usa. Il centro sinistra agli esordi progetta riforme che appaiono radicali, una per tutte la nazionalizzazione dell’energia elettrica con l’esproprio, con lauto indennizzo di famiglie come quella dei Volpi di Misurata che possedeva la SADE, l’impresa ricordata per la tragedia del Vajont. La paura delle classi dominanti di azioni politiche che togliessero privilegi, il timore delel nazionalizzazioni e che il centro sinistra non fosse troppo determinato a lasciare fuori dalla porta il PCI, unita alla situazione internazionale che si stava delineando, suscitarono timori in parte dei partiti italiani e nei servizi segreti. Dal punto di vista internazionale accaddero fatti che avrebbero potuto mettere in discussione la supremazia americana: la guerra del Vietnam che conobbe tra gli anni dal 1965 al 1972 una grande escalation che comportò l’impiego di enormi mezzi militari e mezzo milione di soldati, mentre l’opinione pubblica e soprattutto i giovani contestavano il conflitto imperialista.
In Algeria, dopo la guerra anticoloniale, alla metà degli anni 60, Bumedienne prese il potere. Era considerato dagli Usa un uomo di Mosca e questo impensierì gli americani impauriti da uno sconfinamento sovietico in Medio Oriente, la guerra dei sei giorni che vide Israele scontrarsi con Egitto, Siria e Giordania. In Italia il PCI si schierò a favore della lotta degli Arabi e contro Israele, intanto Cuba era sotto l’influenza russa, mentre nel 1969 in Libia prendeva il potere il colonnello Gheddafi.
Era una situazione delicata che imponeva agli Usa un controllo più accurato dei paesi sul Mediterraneo ed in particolare sull’Italia per il suo ruolo strategico nel Mediterraneo, per la forza del PCI, per i conflitti interni alla classe dirigente che non erano sempre allineati ai voleri statunitensi. Una parte della Democrazia Cristina appoggiava il centro sinistra, l’altra parte l’avversava. Il PSDI e il MSI lo giudicavano un cavallo di Troia per coinvolgere i comunisti, considerati nemici interni.
Gli Usa avevano in Europa due modelli di azione. Da un lato il colpo di stato come era accaduto in Grecia nel 1967 con l’avvento al potere della dittatura dei colonnelli, dall’altro una politica di contenimento ed eliminazione di elementi di possibile frizione come accadde in Francia dove il generale De Gaulle, anti Nato, ostile alla politica israeliana, fu costretto a dimettersi per non aver saputo evitare la violenza che si era manifestata durante il maggio francese, violenza che pare orchestrata anche da forze della polizia segreta OAS con l’appoggio degli USA.
Il 1965 fu un anno cruciale nel dibattito sul che fare. Ci fu il convegno all’Hotel parco dei Principi a Roma dell’istituto di studi militari Pollio in cui per conto dello stato maggiore dell’esercito si discusse di Guerra rivoluzionaria con esponenti delle forze armate e del MSI. Intervennero tra gli altri Pino Rauti e Giorgio Pisanò del MSI , Guido Giannettini,agente del SID Edgardo Beltrametti, collaboratore del Ministero della difesa.
A Udine nello stesso anno si tenne una riunione degli aderenti a Gladio per discutere di insorgenza e anti insorgenza; nel 1966 il capo di stato maggiore dell’esercito Giuseppe Aloja lanciò l’operazione Chaos che aveva lo scopo di attaccare il partito comunista da sinistra.
Di cosa si trattava? In sostanza si adottò la politica dello destabilizzare per stabilizzare, cioè creare caos e tensione nel paese, sollecitare soprattutto tramite la stampa, l’indignazione e la rabbia popolare contro i nemici individuati nella sinistra, nel movimento sindacale, in quello studentesco che poteva alludere al comunismo, nel tentativo di attribuire pieni poteri a governi forti ed autoritari.
Dal punto di vista politico i più attivi sostenitori di questo disegno furono il presidente della Repubblica Antonio Segni che appoggiò il piano Solo di de Lorenzo, e successivamente l’altro presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, insieme alle forze politiche che citavamo all’inizio. Questi politici erano appoggiati dai servizi segreti, quello militare, il SIFAR, poi Sid e quello civile, dipendente dall’Interno l’UAR, il primo diretto dal generale del Lorenzo, il secondo da Umberto Federico D’Amato, figura interessante che guidò l’ufficio, fatto tutto da personale triestino giunto a Roma negli anni 50. Trieste come Gorizia rappresentavano un terreno molto dissodato dalla guerra fredda e gli attentati prima della strage di piazza Fontana furono fatti a Trieste nella scuola slovena di San Giacomo dove per un difetto del meccanismo di accensione dell’esplosivo si evitò una strage orrenda nella scuola materna slovena, e a Gorizia con un ordigno messo sul confine per esprimere il dissenso verso la visita che Saragat avrebbe dovuto fare a Tito.
Politici che conoscevano ed appoggiavano le idee di politica di contenimento furono sempre ai vertici dei ministeri della Difesa e dell’Interno, come Paolo Emilio Taviani e Giulio Andreotti. Altri ufficiali appoggiarono il generale de lorenzo nel suo lavoro al SID: erano il generale dell’Arma Giovanni Battista Palumbo che successivamente fu coinvolto anche nel sequestro e nella violenza a Franca Rame e l’ufficiale dei carabinieri Dino Mingarelli, entrambi coinvolti nei depistaggi di Peteano.
Perchè non si giunse dunque all’obiettivo di creare in Italia un regime autoritario? Perchè i dissidi, le lotte di potere, i reciproci ricatti e i cambi di strategia all’ultimo minuto fecero fallire il progetto. Questo dicono i libri, ma a mio avviso fu determinante anche l’attenzione di un movimento di massa che nel 68 e 69 e poi soprattutto dopo Piazza Fontana e la pubblicazione de “La strage di stato” che ebbe un enorme successo anche di vendite, l’attenzione era molto elevata.
Abbiamo dunque una struttura dominata dagli USA, sorretta da alcuni partiti, appoggiata dalle forze armate e agita da esponenti del MSI, sia come forza parlamentare d’ordine sia come promotrice di gruppi estremi cui affidare i lavori più cruenti come Ordine Nuovo e di Avanguardia nazionale.
Dunque l’idea che il decennio 60 e 70 si fosse caratterizzato da scontri di opposti estremismi non è vera. In realtà si trattò di una politica nata oltre oceano che si avvalse di forze politiche e uomini cardine della storia repubblicana, di generali delle forze armate, di servizi segreti e di una manovalanza agli ordini di questi mandanti.
Sappiamo come il 68 e il 69 furono anni in cui le lotte studentesche ed operaie conobbero un’intensità mai riscontrata in precedenza. Prima del 12 dicembre 1969 va ricordato che ci furono ben 22 attentati minori, tesi a creare un clima di tensione e paura che induceva il bisogno di ordine.
Nel novembre del 69, ad un mese dall’attentato negli scontri di piazza di Milano morì il carabiniere Antonio Annarumma. il presidente del consiglio Mariano Rumor promise di decretare lo stato di emergenza al fine di spostare a destra l’asse politico. Secondo il giudice Salvini Rumor era il terminale politico dell’attentato. Posizioni analoghe le prese Giuseppe Saragat, uomo di fiducia degli stati uniti, che in TV e nelle aule parlamentari parlò espressamente di svolta autoritaria, soprattutto dopo piazza Fontana e prima che si sapesse chi fossero gli autori della strage.
Cosa fermò queste volontà? Intanto l’allerta dei comunisti che fino alla metà degli anni 70 diedero una lettura di quanto accadeva accusando le istituzioni e poi per un fatto acclarato dal giudice Guido Salvini. Ci fu anche in questo caso una trattativa: da un lato Aldo Moro che aveva svolto indagini sulla strage grazie all’appoggio del ministro della difesa Luigi Gui e sapeva che gli autori erano estremisti di destra, dall’altro il presidente della repubblica Saragat.
Moro promise che i governi di centro sinistra sarebbero stati meno innovativi e mai aperti al PCI, e promise anche che le indagini su piazza Fontana sarebbero rimaste incentrate sulla pista rossa. In cambio per questa stabilità diversa ma granitica Saragat rinunciò al governo autoritario.
E’ proprio per odio a questi personaggi politici e a queste dinamiche di potere, proprio per essersi reso conto di fare il gioco degli Americani che erano i suoi avversari politici che Vincenzo Vinciguerra uccide i tre carabinieri a Peteano e poi confessa il delitto e rivede attraverso una serie di riflessioni tutti quegli anni alla luce di quel patto tra le forze di cui parlavamo e che strumentalizzano a suo avviso sia i neo fascisti sia i militanti di sinistra, coinvolti in scontri e violenze funzionali ad un progetto d’ordine e non certo rivoluzionario.
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