E’ passato più di un mese dalla tragedia di via XX settembre, su tre persone portate in cielo da una tremenda esplosione notturna sembra essere calato l’oblio.
Dopo i primi giorni – densi di descrizioni, incursioni nella privatezza delle vite, vortici di ipotesi fondate su sensazioni e sentito dire – il pasto mediatico sembra essersi esaurito in una silenziosa collettiva digestione. Accade così spesso nell’epoca del trionfo del villaggio globale, si è sconvolti da ciò che viene posto sotto i riflettori, al loro spegnersi cala il buio e sopravvivono solo le emozioni di chi è stato genitore, parente, amico…
Via XX settembre è stata nel frattempo riaperta e quella casa sventrata – ripulita dalle macerie pericolanti – attraverso gli occhi scende nel cuore e ferisce. Il velo che copre l’intimità delle relazioni più vere è stato strappato con violenza e si possono contemplare i segni forti, eclatanti della normalità: gli elettrodomestici ordinati nella cucina non del tutto intaccata dall’esplosione, il tavolo attorno al quale ci si siede per scambiarsi le idee sulla giornata appena trascorsa, perfino il colore intenso di una stanza di recente pitturata, con un gusto originale.
Che cosa è accaduto in quella notte? Forse per una volta si può andare oltre alla fase delle accuse, dei sensi di colpa e delle illazioni. Guardando “dentro” l’edificio sventrato ci si sente parte di una stessa umanità, il dramma di tre esseri umani – una donna e due uomini – diventa il dramma di ciascuno di noi. Dietro e dentro le mura che nascondono la maestà del quotidiano, scorrono la gioia e il dolore, la solitudine e la compagnia, la speranza e la delusione. Fino a quando un destino crudele non lacera le barriere e violenta il nostro spazio privato, gelosamente custodito e percepito nella sua sacralità.
Per questo, qualunque sia la causa che avrebbe provocato l’incidente – e davvero le ipotesi potrebbero essere molte, data la molto frequente segnalazione di cittadini che negli ultimi mesi si sono lamentati a causa del forte odore di gas in vari quartieri – è importante non dimenticare le persone che hanno perso la vita e che a loro modo sono diventate per noi maestre di umanità. La vita è bella e val la pena di essere vissuta, nell’ordinarietà dell’impegno di ogni giorno, dentro le pareti del nostro esserci e nel permanente desiderio di uscire dall’oscurità, per alleviare – ciascuno per come e per quanto può – la solitudine e il dolore di ogni vivente. Andrea Bellavite
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