Basterebbe limitarsi a osservare, ma mi rendo conto che anche osservare richiede tempo, che spesso e volentieri non abbiamo, vittime della frenesia della vita quotidiana.
Me ne sono resa conto il 25 luglio quando, al termine di una giornata a dir poco faticosa, mi sono presa cinque minuti per respirare, veramente, con il diaframma. Mi sono guardata intorno e ho visto tante persone accomunate da un bisogno, tanto elementare quanto scontato (e sottovalutato): parlare.
L’occasione è stata la pastasciutta antifascista, un evento che si svolge ogni anno in tante città italiane e che, quest’anno, a Gorizia è stato particolarmente sentito perchè condiviso con gli amici d’oltre confine e con tante realtà di tutta la regione.
Il buio era calato da un pezzo, le persone avevano già mangiato e bevuto, eppure erano lì, sedute sulle panche a chiacchierare. Non c’era musica, non sembrava nemmeno una festa, se non fosse stato per il gran numero di persone… Nulla a che vedere con una sagra.
Solo un bisogno, una necessità: condividere pensieri, raccontarsi storie, rendere partecipi gli altri delle gioie e dolori del nostro quotidiano. Perchè, se ci pensiamo bene, ognuno di noi ha le proprie pene e poterne parlare, perchè si presentano le occasioni, magicamente le alleggerisce.
Questa riflessione, oggi, ha ancora più senso di qualche giorno fa. Siamo una piccola comunità, eppure assistiamo troppo spesso a tragedie che ci mettono di fonte alla nostra debolezza, alla nostra incapacità di ascoltare ed essere ascoltati.
Quando certi fatti di cronaca riempiono le prime pagine dei giornali, ci soffermiamo su dettagli poco importanti: era malato? Aveva la depressione? Era matto?
Siamo noi che sbagliamo a porre le domande. L’unica che abbia un senso è: io, e la società tutta, possiamo fare qualcosa? Soprattutto, cosa possiamo fare perchè il male di vivere non abbia il sopravvento? Eleonora Sartori
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