Nel video di Salvini che citofona c’è lo spaccato dell’ Italia. C’è veramente tutto, soprattutto in secondo piano, anche se lui ha suonato al primo. C’è per esempio una donna che fa una delazione, altro nome non mi viene. È lì con “l’uomo forte” e non ce la fa a tacere. Lo faccio o non lo faccio, il nome? E quando mi ricapita un’occasione simile? Così, via col suggerimento del nome dello “spacciatore tunisino” (ma è regolare?, chiede il fenomeno. Sì. Peccato…) sul citofono.
Poi ci sono le telecamere, che riprendono l’uomo forte. Servono ad alimentare la retorica ruspante dei pieni poteri, anche se non li ho è come se li avessi. Perché faccio questa cosa e nessun giornalista mi chiede spiegazione, mi dice che cosa sta facendo, onorevole Salvini? In questo modo lasciano campo libero all’uso che si farà del video. Chi lo userà pro Salvini, chi contro, in un’esibizione muscolare tra chi è in grado di influenzare maggiormente l’opinione pubblica.
Poi c’è la Polizia, che scorta Salvini (pare che un carabiniere abbia addirittura messo in contatto la signora con suo staff ) senza dirgli onorevole, noi la scortiamo finché resta nell’osservanza della legge, se va oltre non siamo suoi complici.
In tutte queste mancanze, c’è il pericolo. Come quando ci si gira dall’altra parte, si potrebbe dire ma non si dice, si potrebbe fare ma non si fa. Io organizzavo solo il treno, io gli orari, io lo guidavo, il treno: che ne sapevo, che andavano a gasarli a Auschwitz? Ma cosa vuoi che sia, un saluto romano, un uh uh uh allo stadio, una svastica. O il milionesimo episodio razzista a cui assistiamo, che è sempre frutto di pochi scemi. O la morte di una persona al Cairo, un ragazzo di qui vicino, vuoi mettere la ragion di stato? O quella di un georgiano, qui vicino, nel lager del terzo millennio. Io? Io ho solo fatto il mio, il mio pezzettino, la mia parte in commedia. Andrea Picco
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