Il tema è talmente vasto, che mi è possibile indicare solo alcuni spunti di riflessione. E’ vasto il doppio di quel che risulterebbe se lo discutessimo in un’altra regione italiana, perché il nostro ambiente è diviso tra due nazioni. Ma rimane ambiente al singolare, e quel che si fa e disfa da una parte del confine coinvolge per ragioni fisiche (non c’è norma che tenga, è così e basta) l’altra parte.
Vorrei ricordare quanto significativa sia per noi goriziani l’attenzione della stampa slovena sulla questione della centrale termoelettrica di Sant’Andrea. E sottolineare che uno degli aspetti contraddittori e negativi di questo progetto risiede nel fatto che la centrale ha la potenza sufficiente, in caso di emergenza energetica, di fornire elettricità a Gorizia e Nova Gorica, ma non è predisposta tecnicamente per farlo. Quindi è un progetto imprenditoriale che non ha nessun legame utile sul territorio, si limita a gravargli sopra con tutti i suoi molteplici impatti.
E’ recentemente successo, alla Livarna di Solkan, un fatto che mi ha molto colpito. Il sindaco di Nova Gorica Miklavič ha dichiarato (è riportato dalla stampa) che il Comune è interessato all’effetto della produzione della fonderia sull’ambiente, sulla natura e sulla salute umana, quindi hanno già ordinato l’implementazione di misurazioni senza preavviso degli scarichi in atmosfera. “Se verrà identificato l’inquinamento ambientale, attraverso le istituzioni appropriate chiederemo direttamente l’installazione di tecnologie che elimineranno l’inquinamento da particolato”.
Ma dagli incontri tra il sindaco e la proprietà dell’industria è emersa un’altra cosa: Miklavič ha sollecitato gli interlocutori sull’ipotesi di spostare gli impianti in un’area in cui non sia a diretto contatto con le abitazioni dei cittadini, che sono quelli sloveni di Solkan e quelli italiani di Gorizia area Montesanto.
In questa piccola storia si manifesta quanto rivoluzionario possa essere l’intervento di un sindaco, rappresentante di una comunità che manifesta sul piano istituzionale un interesse collettivo e direttamente pure transfrontaliero: fuori dai percorsi giuridici e burocratici, fuori dagli schemi di conferenze di servizi e valutazioni ambientali o strategiche. Ma riflettiamo su quanto peso ha questo fatto, se non nei confronti della proprietà dell’industria, nei confronti dei cittadini che vedono e ascoltano colui che hanno delegato a tutelarli e governare il territorio.
Le relazioni tra paesi confinanti hanno specifiche forme giuridiche, delle quali tanta parte è governata dalle direttive e dai regolamenti europei, hanno dinamiche codificate e non, hanno istituzioni congiunte quando non uniche come il Gect. Rispetto al quale mi dispiace dover sottolineare che spesso mi sembra una sorta di delega in bianco sui temi oggetto della cooperazione perché la trasparenza e le occasioni di partecipazione sono a parer mio insufficienti, quando invece proprio il GECT dovrebbe essere la “palestra” per esercitare la partecipazione di tre comunità, Gorizia, Nova Gorica, S.Peter – Vertojba.
Diversi concetti che articolano gli ambiti di intervento andrebbero rivisti e corretti: come si fa a dire “sfruttamento e gestione delle risorse energetiche e ambientali locali”? E non invece “tutela, conservazione e gestione delle risorse energetiche e ambientali locali”. Io ho sentito dire che il Gect fa quello che vuole perchè ha personalità giuridica e prende i soldi dall’Europa: ma signori! Il Gect non ha una delega in bianco a gestire il territorio, soprattutto senza aggiornamenti e confronti continui, tantomeno a devastarlo come alle volte ci ritroviamo a temere! E i soldi dell’Europa sono i nostri soldi, mica quelli di Babbo Natale. Chiediamo che il Gect attivi una sua Agenda 21. Chiediamo che il Gect produca un documento con cui precisi meglio il suo ruolo. Se non può essere una modificazione statutaria, sia una dichiarazione di intenti.
Ad esempio (pesco questi concetti dal codice dell’ambiente italiano, tanto per cominciare da qualche parte) affermando quali obiettivi della progettazione la tutela dell’ambiente, degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale e paesaggistico (che sono la stessa cosa), la realizzazione del principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future, la diffusione di buone pratiche amministrative ispirate alla salvaguardia ambientale e alla consapevolezza della cura dei beni comuni nell’ambito dei tre comuni
Altro argomento, la Commissione mista per l’idroeconomia, concetto della gestione del territorio non solo superato ma addirittura illegittimo ai sensi delle norme europee e nazionali. Idro ed economia non hanno un rapporto di vertice, se non quando a causa della crisi idrica (qualunque essa sia) la vita dell’ecosistema e le attività umane implodono attorno all’esigenza fondamentale di disporre dell’acqua. Chiediamo che sia cambiato il nome! Chiediamo maggior trasparenza!
Infine, tralasciando completamente di descrivere nei dettagli quanto della questione ambientale sta a cuore a tutti noi, indico una premessa che mi pare importante nella progettazione congiunta di politiche e azioni sul territorio. La questione culturale. Su questo livello siamo più o meno al medioevo. Chiedo: il deterioramento ecologico, l’eco reato, la cattiva gestione politica seguono o precedono il deterioramento etico e sociale delle comunità?
«Non possiamo pensare che i programmi politici o la forza della legge basteranno ad evitare i comportamenti che colpiscono l’ambiente, perché quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare»: è la risposta dell’Enciclica Laudato sì, nella visione dell’ecologia integrale, che mette l’etica e la legalità e la solidarietà con valenza del tutto laica tra le precondizioni per la salvezza dell’ecosistema di cui ogni essere umano fa parte.
E’ necessario rendere comuni, persino banali, concetti difficili come servizi eco sistemici dando loro dimensione trasnfrontaliera , di paesaggio quale elemento di riconoscimento culturale, storico e identitario, di ambiente che testimonia la storia delle comunità nei luoghi, di risorse ambientali collettive. Questi strumenti culturali consentono ai cittadini di comprendere che le politiche ambientali non sono confliggenti con le politiche economiche e di valutare in questa prospettiva l’operato delle amministrazioni. Consentono anche di pretendere con forza di intervenire nelle scelte di governo delle comunità. Permettono di superare questa criticità: nonostante le indicazioni delle norme, a partire da quelle di rango più elevato, e le dichiarazioni della politica, nella comparazione degli interessi che precede la scelta amministrativa l’interesse alla salvaguardia dell’ambiente (e allo sviluppo della riconversione ecologica) evidentemente non è stato ancora sufficientemente rappresentato, o comunque non è stato rappresentato con forza e quantità prevalenti su altri interessi. Cioè non si configura ancora come interesse generale prevalente, anche se lo è geneticamente.
Le politiche ambientali non sono in alcun modo confliggenti con le politiche di sviluppo: dobbiamo farlo capire ai cittadini. Martina Luciani
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