Trieste, la città dell’annuncio delle leggi razziali, darà lunedì la cittadinanza onoraria a Liliana Segre. Confortata da una petizione popolare, la città tutta, rappresentata dal consiglio comunale, simbolicamente chiede scusa e perdono, per quell’abominio che il monstrum Risiera sta ogni giorno a testimoniare.
La catarsi di quell’olocausto ovviamente non è possibile, ma tra le cose che si possono fare, questa riveste senz’altro un’importanza straordinaria, perché sancisce tra l’altro che c’è una destra non fascista che amministra la città.
Liliana Segre è sì un simbolo, ma non della sinistra, come il vuoto con la giunta intorno l’ha definita nella sua somma espressione di pavida nullità nel consiglio comunale della vergogna, uno dei tanti ahimè di questi ultimi due anni e mezzo. No, proprio perché il sacrificio, l’olocausto, fu oltre l’umana comprensione, chi sopravvivendo a questo ha potuto esserne testimone, assurge al ruolo di conservatore della specie, la specie umana. Senza, avremmo un’altra umanità.
Primo Levi diceva che chi è tornato è tornato muto, e sappiamo bene che l’indicibile è impensabile. Questi testimoni oculari, sono loro malgrado, perché ne avrebbero fatto sicuramente a meno, col loro corpo e col loro pensiero un monumento all’umanità, il memento che anche prima esisteva un’umanità, prima della tragedia, che si è conservata nonostante la follia nazista e fascista.
Ora, se non si riescono a capire certi passaggi, se la propria capacità di elaborazione non va oltre il conto del giro degli spritz da pagare, non si può pretendere di più. La fascia indossata dall’assessore di turno resta l’imbarazzante manifestazione indelebile di vergogna tricolore di una amministrazione che piega per calcolo elettorale la città a negare la cittadinanza onoraria a Liliana Segre e a ricevere i soldati dei nazisti nella casa comunale, la casa di tutti i goriziani. Andrea Picco
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