In occasione della cosiddetta “Giornata del Ricordo” del 10 febbraio circola da tempo ovunque l’immagine di una bambina che con la valigia in mano sta fuggendo dalla terra in cui è nata per raggiungere, esule, l’Italia.
Alle sue spalle una cartina geografica, colorata in rosso sangue tutta la zona delle attuali Slovenia e Croazia occupata dagli italiani dopo la prima guerra mondiale. Ora, da un punto di vista storico, logico ed etico, tale forma di comunicazione è fuorviante.
La complessa questione dell’esodo degli italiani dall’Istria può e deve essere affrontata, non tanto con una specifica “giornata” che non serve ad altro che ad alimentare anacronistiche polemiche, quanto con seri e approfonditi studi storici e scientifici, procedendo dalle “relazioni congiunte” elaborate da insigni studiosi italiani, sloveni e croati all’inizio degli anni 2000.
L’ambito di riferimento è tuttavia appunto quello dell’Istria, esistendo allora e tuttora una forte presenza della comunità italiana. Inserire in un quadro geografico così tristemente contrassegnato anche il Carso sloveno, le valli della Soča (Isonzo) e della Vipava (Vipacco) e perfino la zona di Postojna (Postumia) risulta inaccettabile. Al contrario, le popolazioni di quelle zone, fino al primo dopoguerra e anche attualmente abitate nella quasi totalità da sloveni, potrebbero a buon diritto invocare una loro “Giornata del Ricordo”, per richiamare le vergognose vessazioni subite durante il fascismo e le tremende violenze di cui sono state vittime nel periodo dell’occupazione nazi-fascista, durante la seconda guerra mondiale.
Per amore di una verità storica che giovi anche alla stessa causa del “ricordo” degli italiani esuli dall’Istria, si ritiene quindi indispensabile che la cartina geografica, divenuta ormai quasi un definitivo “logo” della Giornata del Ricordo, venga almeno modificata, cancellando il colore rosso dalle zone che non hanno nulla a che fare con il fenomeno storico del quale si desidera far memoria. Andrea Bellavite
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