Il primo cittadino non ha perso l’occasione di intervenire sull’operazione di polizia che ha portato all’arresto di alcuni afghani e pakistani che spacciavano dalle parti di via Oriani, nel boschetto vicino alle scuole.
Occasione ghiottissima per utilizzare gli stereotipi che tanti vogliono sentirsi dire. Funziona così: gli stranieri si appostano dietro gli alberi e quando passa il giovane quindicenne gli offrono la droga a mo’ di caramella che l’ingenuo fanciullo ingurgita, rimanendone per sempre soggiogato.
Stranieri contro italiani, cattivi contro buoni, giovani contro adulti, bianco contro nero. Mai così bene per guadagnare consenso e senza rischio, tanto “non sono razzista, ma…”. Chi non vuole sentirsi dire che il proprio figlio fuma o si fa a causa delle cattive compagnie? Se a spacciare sono gli extracomunitari poi!
Purtroppo la realtà è molto più complessa di quanto appaia e molto spesso i ragazzini sono indotti al consumo non dagli stranieri, ma dal loro stesso gruppo di compagni italiani che fuma, quando va bene, o assume altre e più pericolose sostanze. Le ricerche ci dicono che già alle medie si inizia a bere, a fumare e ad assumere qualche droga, a quindici anni probabilmente è proprio il giovane a contattare chi gli vende il fumo.
Chiunque si occupa seriamente del problema può spiegare queste complesse dinamiche e i problemi, ma anche i vizi, le idee sbagliate, il vittimismo e il fatalismo delle nuove generazioni, con le quali il lavoro educativo è lungo e difficile.
Magari bastasse gridare o indignarsi per arrestare il consumo: pugno di ferro o carezze col pugnal non servono se non a guadagnare qualche like quando si vuole vincere facile. Anna Di Gianantonio
La “geolocalizzazione” dei crimini non l’ho mai capita, così come non ho mai capito quella dei meriti, specie perché non aggiunge niente di utile alla notizia che si intende dare. Comunicare che una certa scoperta sia stata merito di un ricercatore italiano o che un certo reato sia stato compiuto da un delinquente nostrano non modifica in alcun modo la sostanza dei fatti. Vale per i media come per i discorsi da bar: conosco tante persone pronte a sbandierare ai quattro venti che “uno dei nostri ha scoperto quella cosa” salvo ricorrere all’indifferenza più imbarazzante quando “uno dei nostri l’ha fatta fuori dal vaso”. Ecco, la tipizzazione dei gesti e delle azioni in base alla nazionalità produce come unico effetto quello di alimentare uno dei meccanismi più sciocchi cui si presta l’essere umano: le generalizzazioni, che trovo dannose sia quando volte ad estendere a tutti indistintamente un comportamento positivo che quando orientate ad attribuire a tutti delle qualità negative.