E’ stato bello, ieri, vedere tante persone in piazza XX Settembre a Udine con il primo vero caldo di questo anno che tutti noi ci ricorderemo per sempre. Tecnici, artisti che lavorano nel settore dello spettacolo, della cultura e dell’intrattenimento rivendicano un diritto piuttosto semplice: un reddito di continuità per la loro professione, intermittente, che in questo periodo sta pagando un conto salatissimo a causa del lockdown.
Le figure professionali che calcano i palchi e tutte quelle che lavorano dietro alle quinte sono numerosissime, ma per le Istituzioni sono invisibili non essendo state incluse in nessuno dei diversi decreti governativi.
La quarantena, tuttavia, è stata utilizzata in modo proficuo da alcuni di loro, come Francesco Rodaro della Music Team, uno degli organizzatori dello “Stato di agitazione permanente della cultura e dello spettacolo”, che durante il periodo di clausura si è impegnato in una raccolta dati. Nonostante tante piccole aziende non abbiano risposto, i dati per ora sono i seguenti: 42 aziende, 550 tra titolari e dipendenti fissi, altri 4/500 collaboratori, per un giro di 45/50 milioni di euro. Si tratta, in pratica, del comparto della musica live e spettacolo, nel quale non rientra il mondo della notte e il teatro (i maggiori esponenti non hanno voluto esporsi, chissà perché). Numeri che non si possono ignorare.
Non si tratta, certo, dell’unico settore a soffrire e nelle parole che seguono vi è la consapevolezza che solo unendosi e rivendicando più diritti ci potremmo rialzare tutti e prima.
Riporto integralmente il discorso di Carlo Visentini, intervenuto ieri, che dovrebbe far riflettere su un aspetto che per troppo tempo abbiamo ignorato: l’universalità e la trasversalità della lotta per ottenere migliori condizioni di lavoro. Rivendicazione che non riguarda solo i lavoratori del mondo della cultura e dello spettacolo ma tutti noi. Eleonora Sartori
“Siamo quelle e quelli che trasportano caricano scaricano e montano i palchi e le strutture degli spettacoli e dei concerti. Siamo quelle e quelli che collegano cavi, allacciano la corrente, fanno funzionare audio, luci e video. Siamo quelli che su quei palchi suonano, recitano, danzano, parlano, vi intrattengono. Siamo dj, buttafuori, baristi, piccoli gestori di club e discoteche, lavoratori dei musei e dei teatri, titolari di service di vario genere, cooperative, partite Iva, dipendenti, consulenti, collaboratori, persone e piccole e medie imprese che vivono di spettacolo, cultura e intrattenimento.
Spesso siamo invisibili, spesso siamo sottopagati, spesso non abbiamo ferie, indennità, malattia, diritti. Siamo divisi e frammentanti da sempre: spettacolo e cultura nel nostro paese sono da sempre comparti avanguardia di precarietà e flessibilità anche per natura stessa delle produzioni effimere per cui lavoriamo e grazie alle quali viviamo. Siamo spesso visiti con invidia da chi pensa che siamo fortunati a vivere delle nostre passioni. È vero, spesso abbiamo fatto delle nostre passioni delle strade per soddisfare le nostre necessità. Ci è costato e ci costa tanto e questa è la parte che nessuno vuole vedere. Formazione, studio, sacrifici di tempo e finanziari, tentativi e fallimenti, notti in bianco e turni massacranti che non finiscono mai. Il nostro tempo è spesso all’indietro, è spesso scandito non da orologi ma da clessidre: si parte a quell’ora, succeda quel che succeda, “the show must go on” sempre. Il pubblico può aspettare ma poi pretende, poi se ne va e qualcuno resterà altre ore se non giorni a smontare, a disallestire per poi far ripartire il circo verso altri lidi e via da capo.
La crisi del lockdown ha fermato il nostro tempo e l’ha fatto prima di molti altri comparti produttivi: teatri, cinema, musei, sale da concerto, club sono stati tra i primi a fermarsi in Italia assieme alle scuole ci preme ricordarlo. Non sappiamo esattamente come e quando ripartiremo. Questa sospensione ci sta dando una grande occasione, quella di sederci a parlare tra di noi e con il mondo esterno a noi.
Si sente parlare da più parti delle esigenze basilari che dovranno essere soddisfatte, esigenze di sindacalizzazione, contratti nazionali, minimi salariali, diritti, misure concrete di sostegno ai nostri redditi troppo spesso saltuari e legati unicamente alla produzione stessa. In pratica siamo sempre a cottimo, se si lavora si mangia se no, no. Già da alcune parti ci dicono che per favorire la ripresa del settore dovremo accettare qualsiasi condizione, qualsiasi ribasso… “tanto per voi adesso sarà importante intanto lavorare”. Nossignori, non a qualsiasi costo. Rimettiamo al centro la nostra vita, i nostri diritti, la gioia di salire sul palco ma anche quella di tornare a casa vivi, interi, sani e ben pagati. Non lavoreremo mai più ad ogni costo, non ci piegheremo più a chi ci ricatta perché “tanto ce la fila fuori” o perché “fai questo lavoro così e poi il prossimo vedrai che ti porta la celebrità” o ricatti ancora più viscidi.
Sia chiaro che non c’è spazio nel nostro mondo per sessismo, razzismo ed esclusione. Lo vogliamo dire forte perché siamo una grande famiglia da qualsiasi parte del mondo si provenga, quale che sia il tuo genere o orientamento sessuale siamo tutti sorelle e fratelli uniti nella buona e nella cattiva sorte, fossimo al riparo di un teatro stabile o sotto la pioggia di un palco all’ultima delle feste di paese
A questo proposito vogliamo anche ricordare che le straniere e gli stranieri che hanno perso il lavoro in questi mesi stanno concretamente rischiando anche di perdere ogni diritto a restare in Italia e che in alcuni casi può significare anche la differenza tra la vita e la morte. Vogliamo sia fatta una sanatoria immediata per chi sta rischiando la clandestinità per colpa della crisi o meglio per l’assenza di politiche migratorie serie e finalmente slegate dal ricatto lavorativo. Vogliamo che si parli subito di misure concrete e urgenti di sostegno universale al reddito, magari recuperando qui in Regione quello che era il reddito di base del 2006, una misura che assomigliava più a un vero reddito di cittadinanza, che a un sussidio di povertà, una misura che creava inclusione sociale.
Negli anni 90 i lavoratori dello spettacolo intermittenti francesi ci hanno dato una importante lezione di lotta e hanno ottenuto importanti misure di sostegno alla continuità di reddito, misure che in Italia ci sogniamo di notte ma che potrebbero veramente cambiare le nostre vite rendendole degne e sicure finalmente slegate da ricatto “se non lavori come voglio io non mangi”.
Vogliamo che si parli subito di come potremmo riempire i teatri, scuole, musei, cinema, club, palazzetti, piazze strade lavorando in sicurezza e con la tutela della nostra salute sempre e per sempre. Vogliamo infine ricordare i nostri colleghi che hanno perso la vita lavorando con noi perché ciò che è successo a Francesco Pinna, Matteo Ermellini e a Khaled Farouk Abdel Hamid non capiti mai più
Il nostro pensiero vai poi anche alle persone che lavorano nel turismo, nella ristorazione in tutti quei comparti produttivi che vivono grosse incertezze come noi in questo momento. A tutte e tutti i precari, i sottopagati, le micro e piccole imprese cooperative che agonizzano sotto pesi fiscali impossibili da sostenere, i senza reddito, i senza casa, i senza diritti. Sappiamo di non essere i soli a soffrire, non vogliamo nemmeno essere i soli a lottare e a far sentire le nostre voci. Rivendichiamo il reddito di quarantena, misure universali per tutti, rivendichiamo la tutela della nostra salute e della nostra sicurezza.
Facciamolo ora, il nostro tempo è ora e comincia adesso. Carlo Visintini
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