Ci sono fatti che si può scegliere di affrontare in due modi, l’uno opposto all’altro: si può decidere di farli cadere nel silenzio più totale, o, viceversa, di scandagliarli nel profondo, nel modo giusto, affinché si generi una sorta di riflessione collettiva che metta a nudo le debolezze della nostra società. In questo caso non vale il detto in media stat virtus. Raccontarli e basta è inutile. Dall’altra parte porre l’accento su particolari morbosi indecente.
Il caso “centro stupri” rientra tra questi. Raccontare in modo asettico la vicenda, come qualcuno ha fatto, è un brusio di fondo, fastidioso e incomprensibile. Accanircisi con lo stile del gossip mette in primo piano particolari assolutamente irrilevanti. Porre le giuste domande e sollecitare una riflessione sull’accaduto è l’unica via perché una tale vergogna non debba ripetersi in futuro.
L’iniziativa di #iorispetto, progetto il cui capofila è l’assessorato alle pari opportunità del Comune di Gradisca d’Isonzo a cui si è aggiunto il Comune di Romans d’Isonzo, va proprio in questa direzione.
“Tu l’avresti stampata?”, è la domanda rivolta a bruciapelo alle tipografie del territorio e a quelle online che, se da una parte coinvolge una categoria professionale specifica, dall’altra vuole in allargare il discorso a più destinatari, con l’intento di riappropriarsi dell’unico elemento che dovrebbe accomunarli(ci) tutti: l’etica. Potremmo chiamarlo anche deontologia, se ci limitassimo al campo professionale, oppure buon senso se estendessimo il discorso a singole persone. Il punto non cambia, a cambiare potrebbe essere la risposta alla domanda: cosa siamo pronti a fare, non fare, tacere, non vedere per soldi?
Il problema del caso “centro stupri” non è solo dei ragazzi che hanno consapevolmente ideato e commissionato le magliette, ma è di chi le ha stampate, di chi ha registrato la prenotazione di un tavolo in discoteca, di chi ha riso di fronte a quella frase, di chi non l’ha ritenuta violenta, di chi si è girato dall’altra parte perché “non sono affari miei”, dei genitori coinvolti e, badate bene, non solo di “quei genitori”, ma di tutti quelli che pensano che fatti del genere capitino sempre e solo ai figli degli altri.
È comodo, rassicurante e funziona come una autoassoluzione preventiva. Io sono un bravo genitore, ho dato tutto dunque non può succedere a mio figlio. Invece lo stereotipo, il cliché, il sessismo, covano in silenzio perché si nutrono proprio del non detto, del non insegnato, del dato per scontato. E a un certo punto scoppiano e ti riempiono di merda. Allora, oltre a ripulirsi, va fatto altro, perché la puzza impregna tutto ciò che trova.
Va stimolata una riflessione collettiva, ad alta voce, che ci riguardi tutti perché nessuno è immune dal virus dell’indifferenza e non esiste nemmeno una app che possa tracciarlo. Questo è anche un compito della politica, quella con la P maiuscola, che non si limita a imprimere belle parole su un opuscolo, ma che si adopera affinché ciò che è accaduto non accada più. Eleonora Sartori
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