Se è possibile, ma mi rendo conto che lo spazio di manovra è esiguo, vorrei parlare di danni collaterali da Covid. E mi riferisco soprattutto alla sensazione di insicurezza, di sospetto, di paura che inconsciamente avvolge la nostra vita.
Le persone che incontro per strada ormai si fermano a tre metri, nessun contatto amichevole è nemmeno accennato, il primo argomento, ieri tot casi è il primo argomento, sostituito dalle sei di sera in poi dall’aggiornamento quotidiano del ministero. I discorsi, che sono poi quelli con i quali generiamo la realtà, sono covidcentrici, e il danno psicologico di questa “pandemia della paura” comincia a essere un fiume in piena, che non trova un argine che lo contenga.
Ci sono tante persone che rifiutano la socialità, diradano o addirittura evitano gli incontri con le altre persone, cercando nei media e nei social network la conferma della necessità della loro precauzione. C’è una paranoia generale, che non ha a che vedere con il rispetto o meno delle misure precauzionali, è molto più profonda.
Prima, nessuno pensava all’altro come a un pericolo, come prima del periodo degli attentati nessuno pensava a uno zaino come a una possibile bomba. Tutto questo, condito da precauzioni a volte assurde e contrastanti tra loro, ha fatto sì che tutto ciò che razionalmente prenderemmo come una sciocchezza, una bizzarria, o addirittura una psicosi, col sopravvento della pandemia della paura è ciò che guida le nostre azioni o ci fa subire quelle degli altri.
Pensate solo al gesto di lavarsi le mani compulsivamente. Anche l’ossessione per i contagi: sono mesi, mesi, che i media tutti i giorni ci danno in tempo reale nuovi casi, morti, terapie intensive, guariti. Ci interessano solo i primi tre, eppure i guariti sono tantissimi. E non c’è stata un’intervista, una, a qualcuno che abbia detto sì, ho avuto il covid e manco me ne sono accorto. Eppure i cosiddetti asintomatici sono la stragrande maggioranza, stando ai dati.
Siamo insomma nella stessa situazione del periodo della guerra fredda, in cui la minaccia della guerra valeva come se la guerra ci fosse veramente. E bisognava armarsi, perché l’altro si armava, giustificando il tutto con la paura. Anche qui l’oggetto della paura non lo vedi, è un nemico immaginato talmente tanto che per i 60 milioni di italiani che non l’hanno incontrato è diventato il nostro nemico immaginario.
Ognuno lo teme a modo suo, chi ingigantendolo, chi negandolo, chi delimitandone la portata cercando di fare prevalere la ragione. Certo è che, anche solo subendo le restrizioni o i comportamenti altrui, ce lo portiamo dentro anche senza averlo, e chissà per quanto ancora. Di riflesso, di striscio, di rimbalzo, in pieno: siamo arrivati al punto che, parafrasando Benedetto Croce, non possiamo non dirci covidiani. E mi sa che sarà dura, levarci quest’etichetta di dentro, prima che di dosso. Andrea Picco
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