Il progetto di “riqualificazione” del mercato coperto del centro di Gorizia strizza l’occhio a quanto realizzato in altre città d’Italia e d’Europa in luoghi di socialità e commercio come questo, privilegiando l’inserimento di “botteghe” alimentari di marchi prestigiosi e di eccellenze locali, che le renderebbero di fatto più simili a gioiellerie che banchi di frutta e verdura.
Tutto questo per rendere il mercato un luogo non solo frequentabile dai cittadini ma soprattutto dai turisti, attirati dalla possibilità di acquisto di prodotti locali di eccellenza in un luogo appositamente concepito; ma senza riflettere sul fatto che si toglierebbe la possibilità ai piccoli coltivatori e commercianti della zona, i veri produttori a “chilometro 0”, che ora lo occupano con i loro banchi, di poter continuare ad esercitare sia la loro legittima professione, che di restare a far parte di quella realtà storica della città non solo dal punto di vista commerciale, ma anche da quello umano e sociale di incontro e di scambio. Ciò che dovrebbe essere, appunto, un mercato e non un centro commerciale.
Inoltre, non parrebbe necessario un nuovo progetto architettonico per un immobile già perfettamente in armonia con l’ambiente nel quale si trova, e per me che non sono goriziano, di grande attrazione e fascino storico e vitale. A Gorizia, a mio avviso, sono altri i luoghi e gli stabili che avrebbero necessità di essere riqualificati o restaurati e che potrebbero dimostrare l’intraprendenza di un’amministrazione.
Le esperienze che arrivano dalle altre città non sono però rassicuranti. A Bologna, nel novembre del 2017, è cinematograficamente calato dall’alto FICO (Fabbrica Italiana Contadina), enorme spazio dedicato alle eccellenze alimentari di tutta Italia, con una particolare predilezione, essendo in Emilia Romagna, per quella della regione ospitante. Estensione faraonica degli empori Eataly sparsi nelle città del mondo, Bologna e Trieste comprese.
Dopo un battage pubblicitario degno di un film di 007, e un numero sempre crescente di visitatori (stando alle pubblicità su radio e tv dopo i primi 6 mesi di apertura), notizia di ieri, FICO chiude! O meglio, non porta i libri in tribunale bensì ripensa la propria formula ricettiva, visto che quella perseguita fino ad ora non ha consentito la realizzazione di utili ma di debiti…Ok, il Covid c’ha messo del suo, ma di fatto ciò che ha causato la chiusura del centro è stato il formato dell’attrazione: negozi e ristoranti con prodotti di qualità a costi altissimi, che si aggiungono a quelli già elevati della ristorazione della città. Quindi una mancanza di clientela che, prima della chiusura, aveva già causato la disdetta da parte di alcuni esercenti dei propri punti vendita.
Questi progetti di “boutique del gusto”, di “renziana” memoria, hanno dimostrato di essere scarsamente attrattivi nel lungo periodo. La rivoluzione del commercio non parte solo dalla qualità ma anche da come la qualità si può proporre. In un luogo completamente rinnovato e spogliato del suo ruolo originario, a Gorizia, per esempio non tutti i commercianti forse si potranno permettere di affrontare un costo come quello dell’affitto di un locale per il proprio punto vendita. Oppure si potranno sentire inadeguati nel proporre la propria merce, o saranno costretti ad aumentare i prezzi per poter resistere in un luogo in cui il canone di locazione è notevolmente aumentato a causa di una ristrutturazione, a mio avviso ma anche a detta di molti altri, non necessaria.
Le eccellenze alimentari non sono necessariamente dei beni di lusso. L’etica nella filiera non obbligatoriamente trasforma il prodotto in una pepita d’oro. Il “chilometro 0” non provoca per forza un aumento del costo del lavoro. Il pubblico se ne accorge rapidamente e decreta un verdetto, nella maggior parte dei casi inappellabile. Bella la novità ma poi torna al proprio supermercato di fiducia.
Ecco la parola magica: “fiducia”. Quella che si è creata negli anni tra una cittadinanza e propri commercianti di prodotti alimentari presenti dentro al mercato coperto. Condividi il TweetQuella che fa sì che se hai dimenticato i soldi per sbaglio puoi dire “Te li porto domani”. Quella che sarà da ricostruire con chi verrà da lontano, magari, senza neppure sapere quali sono le “eccellenze alimentari” che propone perché semplicemente viene da una terra lontana ed è messo lì a vendere da una grande azienda che ha aperto “solo” un nuovo punto vendita.
Ma siccome quel punto vendita sarà presente in tante altre città in Italia e nel mondo, il turista potrà riconoscerlo e andarci a prendere un caffè, biologico, “FICO”, raccolto da contadini “felici”, ma che costa 3 Euro a tazzina. Ma si sarà sentito bene, perché anche a Gorizia avrà potuto acquistare quel tipo di caffè in un mercato coperto. Che però non sarà più “quel” mercato coperto, tanto amato dai propri cittadini. A questi ultimi spetta l’ultima parola. Opporsi oppure acconsentire ad un nuovo, non necessariamente migliore di ciò che c’è già. Simone Cuva
Condivido in pieno il ragionamento di Simone Cuva e aggiungo: la struttura è un bene storico, la soprintendenza ai beni culturali dov’è? Permette di cancellare un bene simile? A trasformarlo da renderlo irriconoscibile? Ma ci rendiamo conto del danno che farebbero alla città? Sono dei veri campioni, veri geni dalle idee miracolose!
Gentile Venceslav Černic, grazie per il suo commento.
Certo è giusto prevedere delle priorità agli agricoltori locali. Ma ricordiamoci che al momento è per buona parte vuoto, e molti di coloro che operano non sono agricoltori. Spero che non ci sia manicheismo… FICO è bruttissimo, sono d’accordo, il fatto che non si intenda cementificare ex novo è già un passo in avanti. Ma non tutto ciò che attira turisti è nocivo per l’agricoltura locale, si tratta du farlo con gusto e rispetto.
Ps potreste rendere disponibile il progetto in questione o dare riferimenti per reperirlo? Grazie.
Gentile Andrej Drosghig, non penso che il turismo sia nocivo per l’agricoltura locale, anzi. Esempio è il Collio / Brda, solo per citarne uno. Credo che però migliorando le possibilità attuali del luogo senza necessariamente renderlo un’attrazione esclusivamente turistica, consentirebbe di mantenerne le peculiarità permettendo sia l’utilizzo “storico” da parte dei cittadini che da parte dei turisti, che a mio avviso troverebbero un vero luogo tipico della socialità locale.
Condivido le perplessita’ e il ragionamento di Simone Cuva. Anche per me il mercato coperto a Gorizia ha una sua identita’ precisa, una festa entearci. Tutto si puo’ migliorare, ma sarebbe un peccato snaturare un punto di riferimento per i cittadini: per i produttori e per gli acquirenti.
Gentile Anonimo, grazie per il suo commento.
Oltretutto, bisogna riflettere sul fatto che esiste già un mercato agricolo coperto a Gorizia (e che tra l’altro coinvolge solo una parte degli agricoltori, quelli rappresentati da Coldiretti)… Ci sono dei doppioni, e non si capisce come mai non si riesce a riportare molti agricoltori che fanno vendita diretta nel loro luogo storico.
Quanto al Collio Brda si sta turisticizzando, e quindi per forza in piccola parte snaturandosi, così come è successo al Trentino, all’alto Adige, alla Toscana, ecc, che non sono uguali a 40 anni fa quando il turismo non c’era… (in questi territori, ad es., si sono avute delle specializzazioni massicce su alcune colture, vite, melo, ecc, a scapito delle aziende zootecniche, ortofrutticole miste, ecc)
Mi permetto di chiedere nuovamente dove si può trovare il progetto in discussione.
Saluti
Grazie del suo ulteriore commento, molto condivisibile! Saluti.
Quando ci siamo trasferiti a Gorizia, molti anni fa l’edifico che abbiamo più apprezzato è stato il mercato coperto e sarebbe proprio un peccato vederlo snaturato. E’ vero che molti banchi sono vuoti, ma dopo il Covid si può
magari vedere se accogliere anche altri prodotti del territorio. R. Forzi
Grazie per il suo ricordo. Anche a noi, forestieri ed effettivi goriziani da poco, è subito piaciuto! Un saluto