Vecchia strategia quella di dividere le persone e di mettere una contro l’altra i diversi gruppi sociali. Insopportabile descrivere i dipendenti pubblici che dormono sonni tranquilli e le partite IVA, i precari, i disoccupati che vivono con l’angoscia del domani.
E queste denunce di grande privilegio di cui godono impiegati, infermieri, insegnanti, medici, ecc. provengono non da fra’ Savonarola ma da politici che ci amministrano. Politici che avrebbero il dovere, nella situazione in cui siamo, di unire le persone, di smorzare le accuse, di creare società. Invece la tecnica è quella del capro espiatorio: può essere il nero, il dipendente pubblico, chi non ti vota, quello con la mascherina sul mento che diventano i veri responsabili della crisi che viviamo.
Certo c’è chi sta molto peggio del dipendente pubblico, ma cosa facciamo? Rendiamo tutti precari e ci dividiamo l’angoscia, oppure lavoriamo perché il mercato del lavoro, reso una giungla da leggi fatte da uomini, cambi radicalmente e non ci siano più contratti a chiamata, finti stage, paghe da fame, ricatti e schiavitù?
C’è poi un altro aspetto insopportabile della campagna contro i pubblici dipendenti: quello di farli sembrare persone che se ne fregano di chi sta peggio di loro, come se non avessero figli che non trovano lavoro e che vanno sostenuti, parenti, amici di cui si preoccupano, come se non fossero angosciati dal vedere a Gorizia la fila fuori dai Cappuccini. Il vecchio detto “pro panza mea” non è generalizzabile all’insieme degli esseri umani, cari politici. Anna Di Gianantonio
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