Il post di Unica su presente e futuro delle persone anziane ha permesso alcune riflessioni sulla situazione di chi sta male ed è in degenza in ospedale. Tutti sappiamo che in questo momento i protocolli non permettono visite a familiari in ospedale, ma quello che emerge è che per far fronte a questa durissima limitazione non si sia pensato a figure che possano tenere appunto il contatto con i parenti stretti di chi è ricoverato.
Non possono essere medici e infermieri, già in forte carico di lavoro. Sarebbero stati soldi spesi molto bene, credo, anche perché alcune di queste persone poi in ospedale sono morte. Anche la cura, in ogni caso, si compone non solo dell’intervento medico o infermieristico, non solo del lavoro degli operatori socio sanitari: l’aspetto emotivo, se viene trascurato, è un fortissimo rallentatore di guarigione.
La fragilità di chi è ammalato e sta in un contesto non familiare, privato giocoforza dei propri affetti e dei propri riferimenti, delle proprie sicurezze, è unica: ognuno ha la propria, le proprie paure, soprattutto in questo periodo. Ecco, sarebbe stato, sarebbe, un bel servizio alla persona prendersi cura di questo aspetto, investire dei soldi su questo, in questa emergenza – Covid che dura ormai un anno ed è una convivenza, ormai.
Tra le buone pratiche potremmo così aggiungere nei nostri ospedali uno stato dell’arte delle relazioni, oltre a quello dei morti e dei nuovi contagi, che serva a tenere in contatto tra loro le persone care tra loro È un appello, perché le persone non si sentano numeri da snocciolare la sera, verso le sei, poco prima di cena. Andrea Picco
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