Ai primi di novembre dell’anno scorso si è aperto un dibattito nel blog di Forum Gorizia sul tema del mercato coperto in centro città e sull’interesse, allora ancora concreto, di grandi marchi della distribuzione alimentare di qualità e di nicchia per la sua ristrutturazione architettonica ma, soprattutto, per la rimodulazione dell’offerta enogastronomica che avrebbe dovuto attirare turisti grazie alla presenza di marche di prodotti, anche locali, di super qualità certificata (si legga qui per eventuale interesse).
Di acqua ne è passata sotto i ponti da quel momento e, a oggi, l’interesse risulta parzialmente scemato da parte dell’amministrazione comunale e dei soggetti coinvolti, a fronte di una serie di mancati adempimenti nei termini di tempo previsti.
Siccome il nostro è un paese in cui l’unica cosa che conta, sostanzialmente, è il cibo e tutto quanto lo contiene, lo produce e lo vende (anche in questa pandemia dopo la parola “virus” probabilmente quella più utilizzata è “ristorante”), altre amministrazioni comunali si sono fatte avanti per tentare di accaparrarsi il super negozio di cibo di “topqualityslowfoodbioachilometrozero”.
Probabilmente per questo motivo, è notizia proprio di queste ore il rinnovato interesse dell’amministrazione comunale goriziana nei confronti di un grande marchio della divulgazione enogastronomica di qualità, che dovrebbe affrontare non solo la ristrutturazione (non si sa ancora bene in che termini) ma anche la gestione dei locali e quindi l’offerta dei prodotti in vendita al pubblico.
Sorvolo sulla mia opinione riguardo ad operazioni di questo tipo, già ampiamente espressa sempre nel suddetto articolo di qualche mese fa.
Rimarco però, sempre con grande tristezza per la perdita del lavoro di 33 dipendenti, l’esito di una ennesima operazione simile, di nuovo in Emilia Romagna, di nuovo con il medesimo gestore di quella di cui ho parlato sempre nell’articolo di cui sopra.
A Forlì, come a Bari, tra l’altro, dopo aver occupato, e probabilmente anche ottimamente ristrutturato (lo dico senza sarcasmo) il palazzo del centro storico nel quale aveva aperto, una volta terminata l’emergenza sanitaria, Eataly ha annunciato che non riaprirà.
Ma a prescindere dai danni economici provocati dalla pandemia, come possiamo continuare ad immaginare la presenza di questi luoghi con un’offerta di prodotti costosissimi adatti solamente ad un pubblico ristretto, ma comunque monopolizzatori di certificati di qualità e arbitri di una “disputa tra poveri” fornitori che “o stai con me a queste condizioni o sei fuori dal giro FICO”?
La spesa responsabile ed etica si può fare al supermercato o al mercato cittadino senza necessariamente che questi debbano essere un’attrazione turistica che, tra l’altro, specula sulle tasche degli avventori, abituali o sporadici che siano.
Non è così che ci si prende cura dei produttori locali di eccellenze alimentari.
Al massimo, si cerca di metterli nelle condizioni di poter esercitare il proprio lavoro in maniera sostenibile, remunerata quanto basta da prezzi onesti, senza la minaccia di essere assorbiti dal primo gruppo di distribuzione alimentare “di qualità” che passa di lì, solo perché qualcuno vuole una ristrutturazione di un locale storico, magnifico, che certamente necessiterebbe di qualche miglioria ma non di tutto questo trambusto che si è generato da qualche mese a questa parte.
Non si può far diventare una città crocevia di lingue, nazionalità e culture (anche e non solo enogastronomiche) quando lo è già da sempre. Non si può rendere UNICO ciò che UNICO è già. Questo si devono mettere in testa i grandi progettisti e i grandi gruppi commerciali che in questo periodo si strofinano le mani in vista del 2025 in cui Nova Gorica e Gorizia saranno Capitale Unica della Cultura Europea.
Non c’è bisogno sempre di cambiare o di aggiungere, stravolgere, coprire, costruire o spostare. C’è spesso, solo la necessità di valorizzare l’esistente. Simone Cuva
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